L’inizio del 2022 è rimasto nel solco di quanto osservato nelle ultime settimane dell’anno appena concluso: volatilità e rendimenti obbligazionari in moderato rialzo, accompagnati da una sostanziale assenza di direzionalità sui mercati azionari. Il quadro in sé è coerente con un quadro macroeconomico che sta prezzando livelli d’inflazione globale mai sperimentati negli ultimi 40 anni e con la Fed che stima quattro rialzi dei Fed funds, per 25 punti basi ciascuno, sia nel 2022 che nel 2023 e due nel 2024.
Dopo aver verificato che, storicamente, significativi rialzi delle materie prime comportano un altrettanto consistente rialzo della volatilità, la domanda che come investitori dobbiamo porci è: come si comportano i mercati azionari nelle fasi di rialzo dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali?
Come sempre, la nostra osservazione parte dall’America e dall’S&P500, dove la relazione tra tassi d’interesse e rendimento dell’indice di riferimento ci permette di guardare alle serie storiche con maggior profondità e coerenza logica. Di seguito osserviamo la dinamica dei Fed Funds dal 1990 ai giorni nostri.
Come osserviamo, è possibile isolare quattro fasi storiche di rialzo dei tassi d’interesse: Gennaio 1994 – Aprile 1995, Gennaio 1999 – Giugno 2000, Maggio 2004 – Luglio 2006 ed infine Ottobre 2015 – Febbraio 2019. Che dinamica si è osservata sull’S&P500 in questo periodo storico?
Fonte: DLD Capital SCFS&P500 (Gennaio 1994 – Aprile 1995)S&P500 (Gennaio 1999 – Giugno 2000)S&P500 (Maggio 2004 – Luglio 2006)S&P500 (Ottobre 2015 – Febbraio 2019)
L’evidenza degli ultimi 25 anni ci conferma quindi che alle fasi di rialzo dei tassi d’interesse (c.d. quantitative tightening) non si accompagnano a fasi di profonda correzione dell’indice. Tuttavia, anche la sola mera osservazione grafica ci restituisce un quadro di maggiore volatilità, con dinamiche di maximum drawdown che oscillano tra un 7,82% (Gennaio 1994 – Aprile 1995) ed un 18,9% (Ottobre 2015 – Febbraio 2019). Un quadro ben diverso rispetto a quello che, ad oggi, ci troviamo ad osservare sull’indice americano e, nel complesso, anche sugli altri principali indici azionari americani ed europei.
S&P500 (Maggio 2020 – Gennaio 2021)
L’altro tema sotto la lente è quella della c.d. “rotazione settoriale”, ossia la presunta sovraperformance che l’esposizione ai settori Value, rispetto a quelli Growth, dovrebbe fornire all’investitore. Sotto questo profilo, che dinamica si è osservata in passato?
La possibilità di tracciare le dinamiche dei diversi settori è limitata fino ai primi anni 2000, con la nascita dei primi ETF settoriali, e ci è quindi preclusa l’analisi prima del 2004. Limitatamente ai periodi che ci è possibile prendere in considerazione, il quadro non è particolarmente coerente. Se infatti nel periodo Maggio 2004 – Luglio 2006 il comparto Value ha effettivamente sovraperformato quello Growth, non possiamo dire lo stesso per il periodo Ottobre 2015 – Febbraio 2019, dove abbiamo sperimentato una dinamica più randomica, con una lieve sovraperformance del Growth rispetto al Value.
Vanguard Value ETF / Vanguard Growth ETF (Maggio 2004 – Luglio 2006)Vanguard Value ETF / Vanguard Growth ETF (Ottobre 2015 – Febbraio 2019)
Se estendiamo lo sguardo oltre gli ultimi dieci anni, come appare il rapporto di forza tra Value e Growth?
Vanguard Value ETF / Vanguard Growth ETF (2007 – 2022)
Dal 2007 ad oggi il comparto Growth ha nel complesso sovraperformato quello Value, sia pure con in mezzo un lungo periodo (Dicembre 2009 – Gennaio 2017) di sostanziale neutralità. Come osserviamo, la recente sovraperformance del comparto Value è stata significativa ma la medesima dinamica si era osservata nei primi mesi del 2021 e certamente, anche per la rapidità del movimento, è quantomeno prematura parlare di cambio di trend.
In conclusione, l’evidenza storica non ci garantisce che un’esposizione ad alcuni settori rispetto ad altri ci restituisca rendimenti migliori. Diversamente, l’informazione sostanziale con cui possiamo affrontare i prossimi mesi è che un aumento della volatilità è molto verosimile, al pari della possibilità di affrontare drawdown nell’intorno di un 10% – 12%.
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo testo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgersi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).
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Rialzo dei tassi ed S&P500, l’evidenza storica
L’inizio del 2022 è rimasto nel solco di quanto osservato nelle ultime settimane dell’anno appena concluso: volatilità e rendimenti obbligazionari in moderato rialzo, accompagnati da una sostanziale assenza di direzionalità sui mercati azionari. Il quadro in sé è coerente con un quadro macroeconomico che sta prezzando livelli d’inflazione globale mai sperimentati negli ultimi 40 anni e con la Fed che stima quattro rialzi dei Fed funds, per 25 punti basi ciascuno, sia nel 2022 che nel 2023 e due nel 2024.
Dopo aver verificato che, storicamente, significativi rialzi delle materie prime comportano un altrettanto consistente rialzo della volatilità, la domanda che come investitori dobbiamo porci è: come si comportano i mercati azionari nelle fasi di rialzo dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali?
Come sempre, la nostra osservazione parte dall’America e dall’S&P500, dove la relazione tra tassi d’interesse e rendimento dell’indice di riferimento ci permette di guardare alle serie storiche con maggior profondità e coerenza logica. Di seguito osserviamo la dinamica dei Fed Funds dal 1990 ai giorni nostri.
Come osserviamo, è possibile isolare quattro fasi storiche di rialzo dei tassi d’interesse: Gennaio 1994 – Aprile 1995, Gennaio 1999 – Giugno 2000, Maggio 2004 – Luglio 2006 ed infine Ottobre 2015 – Febbraio 2019. Che dinamica si è osservata sull’S&P500 in questo periodo storico?
L’evidenza degli ultimi 25 anni ci conferma quindi che alle fasi di rialzo dei tassi d’interesse (c.d. quantitative tightening) non si accompagnano a fasi di profonda correzione dell’indice. Tuttavia, anche la sola mera osservazione grafica ci restituisce un quadro di maggiore volatilità, con dinamiche di maximum drawdown che oscillano tra un 7,82% (Gennaio 1994 – Aprile 1995) ed un 18,9% (Ottobre 2015 – Febbraio 2019). Un quadro ben diverso rispetto a quello che, ad oggi, ci troviamo ad osservare sull’indice americano e, nel complesso, anche sugli altri principali indici azionari americani ed europei.
L’altro tema sotto la lente è quella della c.d. “rotazione settoriale”, ossia la presunta sovraperformance che l’esposizione ai settori Value, rispetto a quelli Growth, dovrebbe fornire all’investitore. Sotto questo profilo, che dinamica si è osservata in passato?
La possibilità di tracciare le dinamiche dei diversi settori è limitata fino ai primi anni 2000, con la nascita dei primi ETF settoriali, e ci è quindi preclusa l’analisi prima del 2004. Limitatamente ai periodi che ci è possibile prendere in considerazione, il quadro non è particolarmente coerente. Se infatti nel periodo Maggio 2004 – Luglio 2006 il comparto Value ha effettivamente sovraperformato quello Growth, non possiamo dire lo stesso per il periodo Ottobre 2015 – Febbraio 2019, dove abbiamo sperimentato una dinamica più randomica, con una lieve sovraperformance del Growth rispetto al Value.
Se estendiamo lo sguardo oltre gli ultimi dieci anni, come appare il rapporto di forza tra Value e Growth?
Dal 2007 ad oggi il comparto Growth ha nel complesso sovraperformato quello Value, sia pure con in mezzo un lungo periodo (Dicembre 2009 – Gennaio 2017) di sostanziale neutralità. Come osserviamo, la recente sovraperformance del comparto Value è stata significativa ma la medesima dinamica si era osservata nei primi mesi del 2021 e certamente, anche per la rapidità del movimento, è quantomeno prematura parlare di cambio di trend.
In conclusione, l’evidenza storica non ci garantisce che un’esposizione ad alcuni settori rispetto ad altri ci restituisca rendimenti migliori. Diversamente, l’informazione sostanziale con cui possiamo affrontare i prossimi mesi è che un aumento della volatilità è molto verosimile, al pari della possibilità di affrontare drawdown nell’intorno di un 10% – 12%.
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo testo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgersi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).