Questo primo scorcio di 2022 sta confermando quanto in fondo era nelle previsioni di molti: poca direzionalità sul mercato azionario, tanto al rialzo quanto al ribasso, ed una serie di fattori, in primis il necessario cambio di politica monetaria da parte delle banche centrali, ad intervenire su prezzi e valutazioni di tutte le asset class.
Nel report dell’8 Novembre scorso avevamo osservato come i periodi caratterizzati da forti rialzi delle materie prime coincidono con fasi di instabilità sul mercato azionario e con un repricing generalizzato di tutte le asset class. La cosa non deve quindi sorprendere oggi, se consideriamo che il dividend yield dell’S&P500 nel mese di Dicembre 2021 ha toccato un minino ad oltre vent’anni, pari all’1,27% (il minimo storico è dell’Agosto 2000: 1,11%) e che i rendimenti del comparto obbligazionario sono del tutto insufficienti a remunerare un capitale che sta scontando una rapida perdita di potere d’acquisto come non la si osservava da circa 40 anni. Sul fronte degli elementi più costruttivi c’è il fatto che la crescita degli utili aziendali è vista intorno all’8% annuo negli Stati Uniti e che, unita all’1,35% del dividend yield attuale del principale indice americano, fornisce le basi per un rendimento atteso vicino al 10% per il 2022.
Si pongono quindi le basi per un anno in cui comprendere i c.d. tipping points (punti chiave) del mercato sarà fondamentale per cogliere quella finestra temporale in cui le opportunità di rendimento si manifesteranno. Su questo punto la settimana scorsa ha fornito alcune indicazioni.
Il rimbalzo a cui avevamo assistito nella settimana precedente non si è consolidato nelle ultime cinque sedute, andando a descrivere quello che tradizionalmente viene definito “market failure”. Più nello specifico, la mancanza di pressione in acquisto sul mercato azionario non ha favorito un consolidamento dei prezzi sopra alcuni livelli significativi, tipicamente i 4.500 punti di S&P500, aprendo di fatto lo spazio ad un nuovo potenziale test dei 4.250 punti già sfidati all’inizio del mese. Certamente su questa chiusura di settimana ha inciso il rapido esasperarsi delle tensioni tra Russia e Ucraina ma il quadro di fondo non sarebbe cambiato in ogni caso.
S&P500 (2020 – 2021)
Se è vero che alla base di questa correzione c’è la spinta inflattiva che stiamo osservando e l’incertezza circa quelle che potrebbero essere le scelte di politica monetaria delle banche centrali globali, ha quindi senso partire dal mercato del credito per osservare se, e in che misura, si osservano elementi di fragilità che hanno il potenziale di estendersi rapidamente al fronte azionario.
Il primo elemento da considerare è il persistere di una superiore forza relativa dell’azionario rispetto all’obbligazionario. Tale osservazione vale tanto nel caso in cui gli asset stiano registrando un performance positiva o meno: nel caso in questione, tanto l’azionario quanto l’obbligazionario sono in negativo da inizio anno ma, in uno scenario di correzione, è piuttosto inusuale osservare una sovraperformance dell’azionario. La sensazione quindi è che gli investitori preferiscano ancora, in termini relativi, restare posizionati sull’unica asset class capace di offrire rendimenti reali positivi.
Vanguard Trust S&P500 Index Fund – Vanguard Long-Term Treasury Fund (2021 – 2022)
Sul piano della relazione tra il comparto corporate e quello dei titoli di stato (US Treasuries) non stiamo osservando nulla di nuovo rispetto a quanto visto nei mesi precedenti: il confronto con la crisi legata allo scoppio del Covid è piuttosto evidente: potrebbe verificarsi nuovamente? Forse, ma ad oggi non osserviamo alcuna indicazione che ci riporti a quel tipo di scenario.
IShares Core US Aggregate Bond ETF – iShares 20+ Treasury Bond ETF (2021 – 2022)
Ancora più significativa è la relazione tra il segmento obbligazionario indicizzato per l’inflazione e quello tradizionale: Al pari di quanto osservato nel grafico precedente la dinamica relativa nel Marzo 2020 evidenzia il crollo delle aspettative inflazionistiche a seguito dello scoppio della pandemica. Da quei minimi di è assistito ad una notevole sovraperformance dei Treasuries indicizzati all’inflazione fino alla metà di Novembre del 2021.
iShares TIPS Bond ETF / iShares 7-10 Year Treasury Bond ETF (2020 – 2022)
Da quel momento il rapporto tra i due indici è entrato in una fase di consolidamento. Possibile che il mercato abbia già scontato nei prezzi tutta l’inflazione attesa? Ad oggi sembra di sì e, se così fosse, tale considerazione può essere estesa anche alla relazione tra tassi d’interesse e mercato azionario.
Sulla dinamica, presente ed attesa, dei tassi d’interesse vale spendere ancora qualche parola per allargare lo spettro sul contesto generale. Come osserviamo dal grafico sulla dinamica dei Fed Funds dalla metà degli anni 70, il mercato rialzista dell’obbligazionario è stato guidato, in larga misura ma non integralmente, da politiche monetarie sempre espansive e da un costo del denaro progressivamente sempre più contenuto.
Federal Funds Effective Rate (1975 – 2022)
Dal 2010 ad oggi i Fed Funds hanno raggiunto un massimo del 2.42% nell’Aprile del 2019, per poi scendere fino a livelli prossimi allo zero in conseguenza dei diversi interventi della Fed durante l’esplosione della pandemia.
Se partiamo da quel massimo di circa 3 anni fa, è lecito ed interessante domandarsi: fino dove potrà portare la Fed i tassi d’interesse? La risposta ovviamente risiede nell’evoluzione di una serie di fattori tra cui la dinamica occupazionale, la crescita economica e i livelli d’inflazione. Il FOMC ha annunciato che, come sempre, sarà “data dependent”, ossia agirà in funzione dell’evoluzione del quadro economico ma, forse, la risposta può essere trovata anche altrove.
Nel Dicembre scorso il Fondo Monetario Internazionale ha aggiornato le statistiche circa l’ammontare di debito emesso al mondo, che ha raggiunto i $226.000 miliardi, con il 2020 che, non sorprendentemente, ha rappresentato il più grande aumento in termini percentuali degli ultimi 50 anni.
Chiaramente, l’ammontare complessivo del debito è un dato poco rilevante se non rapportato alla ricchezza prodotta nello stesso periodo, essendo quest’ultima la metrica mediante la quale la sostenibilità del debito stesso viene misurata. Ciononostante, è di tutta evidenza che, al crescere del debito, i livelli di sostenibilità dei tassi d’interesse su quel debito si riducono notevolmente. Economie sempre più indebitate non possono sostenere tassi d’interesse sempre più elevati: da qui la domanda circa quale sia il livello soglia oltre il quale gli oneri finanziari sul debito possano rappresentare un peso poco sostenibile per l’economia globale. La risposta, per quanto vaga, è piuttosto semplice: meno di quanto lo sia stato nel passato.
Ritornando su un piano più pragmatico ed attuale, è evidente che ci troviamo in una fase in cui le asset class che hanno generato rendimenti negli ultimi 10 anni sono in uno stato di flessione generalizzata, sia pure per ragioni diverse: le attese di aumento dei tassi d’interesse ha provocato una flessione generalizzata del comparto obbligazionario, con le scadenze più lunghe naturalmente più colpite. Sul fronte azionario l’aumento dei rendimenti ha portato ad una revisione delle stime di crescita per il 2022 e le valutazione ne hanno risentito.
Sul piano settoriale i settori che meglio hanno performato finora sono quelli legati alle materie prime. In questo senso, se gli indici trovassero una base di prezzo e, in parallelo, se continuassimo ad osservare una simile dinamica in termini di forza relativa tra settori ed indici, potrebbe avere senso aumentare l’esposizione su questi settori.
Energy Sector SPDR Fund ETF – SPDR S&P 500 ETF (2008 – 2022)
La presenza di queste due condizioni è fondamentale anche perché, in un mercato che resta di correzione, le considerazioni sulla forza relativa tra settori industriali incide minimamente rispetto al tema fondamentale, che resta come essere allocati tra asset class.
In apertura di settimana è realistico attendersi il persistere di una volatilità superiore a quella osservata più recentemente in virtù delle ragioni monetarie (politiche delle banche centrali ed inflazione), fondamentali (forza relativa tra settori) ed ora anche geopolitiche osservate in queste settimane. Una cosa è certa: ci muoviamo in un corridoio piuttosto stretto perché se è vero, come lo è, che l’inflazione ad oggi minaccia la crescita economica al pari del potere d’acquisto delle famiglie, è anche vero che banche centrali ed investitori conoscono perfettamente l’ammontare debito esistente sui cui tali aumenti dei tassi d’interesse si andrebbero a scaricare ed è un dato di fatto che la sensibilità dei fondamentali al costo del denaro è molto più alta oggi che in passato.
Personalmente non amo le affermazioni apodittiche ma quando Ray Dalio afferma “cash is trash” è difficile affermare che questo non sia il contesto nel quale ci troviamo a vivere.
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Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgersi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).
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Market failure
Questo primo scorcio di 2022 sta confermando quanto in fondo era nelle previsioni di molti: poca direzionalità sul mercato azionario, tanto al rialzo quanto al ribasso, ed una serie di fattori, in primis il necessario cambio di politica monetaria da parte delle banche centrali, ad intervenire su prezzi e valutazioni di tutte le asset class.
Nel report dell’8 Novembre scorso avevamo osservato come i periodi caratterizzati da forti rialzi delle materie prime coincidono con fasi di instabilità sul mercato azionario e con un repricing generalizzato di tutte le asset class. La cosa non deve quindi sorprendere oggi, se consideriamo che il dividend yield dell’S&P500 nel mese di Dicembre 2021 ha toccato un minino ad oltre vent’anni, pari all’1,27% (il minimo storico è dell’Agosto 2000: 1,11%) e che i rendimenti del comparto obbligazionario sono del tutto insufficienti a remunerare un capitale che sta scontando una rapida perdita di potere d’acquisto come non la si osservava da circa 40 anni. Sul fronte degli elementi più costruttivi c’è il fatto che la crescita degli utili aziendali è vista intorno all’8% annuo negli Stati Uniti e che, unita all’1,35% del dividend yield attuale del principale indice americano, fornisce le basi per un rendimento atteso vicino al 10% per il 2022.
Si pongono quindi le basi per un anno in cui comprendere i c.d. tipping points (punti chiave) del mercato sarà fondamentale per cogliere quella finestra temporale in cui le opportunità di rendimento si manifesteranno. Su questo punto la settimana scorsa ha fornito alcune indicazioni.
Il rimbalzo a cui avevamo assistito nella settimana precedente non si è consolidato nelle ultime cinque sedute, andando a descrivere quello che tradizionalmente viene definito “market failure”. Più nello specifico, la mancanza di pressione in acquisto sul mercato azionario non ha favorito un consolidamento dei prezzi sopra alcuni livelli significativi, tipicamente i 4.500 punti di S&P500, aprendo di fatto lo spazio ad un nuovo potenziale test dei 4.250 punti già sfidati all’inizio del mese. Certamente su questa chiusura di settimana ha inciso il rapido esasperarsi delle tensioni tra Russia e Ucraina ma il quadro di fondo non sarebbe cambiato in ogni caso.
Se è vero che alla base di questa correzione c’è la spinta inflattiva che stiamo osservando e l’incertezza circa quelle che potrebbero essere le scelte di politica monetaria delle banche centrali globali, ha quindi senso partire dal mercato del credito per osservare se, e in che misura, si osservano elementi di fragilità che hanno il potenziale di estendersi rapidamente al fronte azionario.
Il primo elemento da considerare è il persistere di una superiore forza relativa dell’azionario rispetto all’obbligazionario. Tale osservazione vale tanto nel caso in cui gli asset stiano registrando un performance positiva o meno: nel caso in questione, tanto l’azionario quanto l’obbligazionario sono in negativo da inizio anno ma, in uno scenario di correzione, è piuttosto inusuale osservare una sovraperformance dell’azionario. La sensazione quindi è che gli investitori preferiscano ancora, in termini relativi, restare posizionati sull’unica asset class capace di offrire rendimenti reali positivi.
Sul piano della relazione tra il comparto corporate e quello dei titoli di stato (US Treasuries) non stiamo osservando nulla di nuovo rispetto a quanto visto nei mesi precedenti: il confronto con la crisi legata allo scoppio del Covid è piuttosto evidente: potrebbe verificarsi nuovamente? Forse, ma ad oggi non osserviamo alcuna indicazione che ci riporti a quel tipo di scenario.
Ancora più significativa è la relazione tra il segmento obbligazionario indicizzato per l’inflazione e quello tradizionale: Al pari di quanto osservato nel grafico precedente la dinamica relativa nel Marzo 2020 evidenzia il crollo delle aspettative inflazionistiche a seguito dello scoppio della pandemica. Da quei minimi di è assistito ad una notevole sovraperformance dei Treasuries indicizzati all’inflazione fino alla metà di Novembre del 2021.
Da quel momento il rapporto tra i due indici è entrato in una fase di consolidamento. Possibile che il mercato abbia già scontato nei prezzi tutta l’inflazione attesa? Ad oggi sembra di sì e, se così fosse, tale considerazione può essere estesa anche alla relazione tra tassi d’interesse e mercato azionario.
Sulla dinamica, presente ed attesa, dei tassi d’interesse vale spendere ancora qualche parola per allargare lo spettro sul contesto generale. Come osserviamo dal grafico sulla dinamica dei Fed Funds dalla metà degli anni 70, il mercato rialzista dell’obbligazionario è stato guidato, in larga misura ma non integralmente, da politiche monetarie sempre espansive e da un costo del denaro progressivamente sempre più contenuto.
Dal 2010 ad oggi i Fed Funds hanno raggiunto un massimo del 2.42% nell’Aprile del 2019, per poi scendere fino a livelli prossimi allo zero in conseguenza dei diversi interventi della Fed durante l’esplosione della pandemia.
Se partiamo da quel massimo di circa 3 anni fa, è lecito ed interessante domandarsi: fino dove potrà portare la Fed i tassi d’interesse? La risposta ovviamente risiede nell’evoluzione di una serie di fattori tra cui la dinamica occupazionale, la crescita economica e i livelli d’inflazione. Il FOMC ha annunciato che, come sempre, sarà “data dependent”, ossia agirà in funzione dell’evoluzione del quadro economico ma, forse, la risposta può essere trovata anche altrove.
Nel Dicembre scorso il Fondo Monetario Internazionale ha aggiornato le statistiche circa l’ammontare di debito emesso al mondo, che ha raggiunto i $226.000 miliardi, con il 2020 che, non sorprendentemente, ha rappresentato il più grande aumento in termini percentuali degli ultimi 50 anni.
Chiaramente, l’ammontare complessivo del debito è un dato poco rilevante se non rapportato alla ricchezza prodotta nello stesso periodo, essendo quest’ultima la metrica mediante la quale la sostenibilità del debito stesso viene misurata. Ciononostante, è di tutta evidenza che, al crescere del debito, i livelli di sostenibilità dei tassi d’interesse su quel debito si riducono notevolmente. Economie sempre più indebitate non possono sostenere tassi d’interesse sempre più elevati: da qui la domanda circa quale sia il livello soglia oltre il quale gli oneri finanziari sul debito possano rappresentare un peso poco sostenibile per l’economia globale. La risposta, per quanto vaga, è piuttosto semplice: meno di quanto lo sia stato nel passato.
Ritornando su un piano più pragmatico ed attuale, è evidente che ci troviamo in una fase in cui le asset class che hanno generato rendimenti negli ultimi 10 anni sono in uno stato di flessione generalizzata, sia pure per ragioni diverse: le attese di aumento dei tassi d’interesse ha provocato una flessione generalizzata del comparto obbligazionario, con le scadenze più lunghe naturalmente più colpite. Sul fronte azionario l’aumento dei rendimenti ha portato ad una revisione delle stime di crescita per il 2022 e le valutazione ne hanno risentito.
Sul piano settoriale i settori che meglio hanno performato finora sono quelli legati alle materie prime. In questo senso, se gli indici trovassero una base di prezzo e, in parallelo, se continuassimo ad osservare una simile dinamica in termini di forza relativa tra settori ed indici, potrebbe avere senso aumentare l’esposizione su questi settori.
La presenza di queste due condizioni è fondamentale anche perché, in un mercato che resta di correzione, le considerazioni sulla forza relativa tra settori industriali incide minimamente rispetto al tema fondamentale, che resta come essere allocati tra asset class.
In apertura di settimana è realistico attendersi il persistere di una volatilità superiore a quella osservata più recentemente in virtù delle ragioni monetarie (politiche delle banche centrali ed inflazione), fondamentali (forza relativa tra settori) ed ora anche geopolitiche osservate in queste settimane. Una cosa è certa: ci muoviamo in un corridoio piuttosto stretto perché se è vero, come lo è, che l’inflazione ad oggi minaccia la crescita economica al pari del potere d’acquisto delle famiglie, è anche vero che banche centrali ed investitori conoscono perfettamente l’ammontare debito esistente sui cui tali aumenti dei tassi d’interesse si andrebbero a scaricare ed è un dato di fatto che la sensibilità dei fondamentali al costo del denaro è molto più alta oggi che in passato.
Personalmente non amo le affermazioni apodittiche ma quando Ray Dalio afferma “cash is trash” è difficile affermare che questo non sia il contesto nel quale ci troviamo a vivere.
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgersi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).