La settimana scorsa avevamo sottolineato come il c.d. “market failure” degli indici azionari, ossia l’incapacità dei prezzi di consolidare sopra alcuni livelli, era la principale informazione che la settimana ci aveva portato in dote. Quella appena trascorsa ci ha fornito un ulteriore ed importante conferma della debolezza del quadro attuale.
Guardano alle performance relative degli indici azionari degli ultimi 12 mesi non ricordo a memoria una simile divergenza di performance a favore dell’Europa. Nei numeri, la correzione media degli indici europei è stata intorno al 5% dai massimi, mentre negli USA siamo intorno al 12%, con il Nasdaq a guidare la flessione. Questa differenza di performance ci fornisce due indicazioni: la crescita in Europa è stata, sul piano temporale, incorporata nei prezzi più tardi e, nonostante l’inflazione morda anche nel Vecchio Continente, un rialzo dei tassi è certamente più lontano dalle nostre parti che oltreoceano.
Sul fronte dell’inflazione il quadro resta in evoluzione perché, se da un lato osserviamo alcuni segnali di raffreddamento del trend di rialzo di alcune materie prime, dall’altro le strozzature sul lato della supply chain continuano a rappresentare un fattore di difficile prevedibilità.
Sul piano di quanto osserviamo sui prezzi, è difficile non sottolineare la rottura la rialzo della media mobile a 200 settimane dell’intermarket tra il principale ETF sulle società energetiche, XLE, e l’S&P500. L’ultima rottura a rialzo di questa resistenza dinamica si era osservata nel Luglio del 2010. (Parentesi: la bellezza di avere una logica rotazionale a gestire parte dell’esposizione ad un asset class è cogliere queste sovraperformance senza ricorre a ragionamenti discrezionali).
Energy Select Sector SPDR Fund – SPDR S&P500 ETF (2002 – 2022)
Scendendo sul piano della dinamica tra asset class il quadro non appare mutato, con gli investitori che, per quanto preoccupati, continuano a prediligere in termini relativi il mercato azionario, a riprova di quanto l’allargamento degli spread ad oggi non sia considerato ancora un’opportunità di acquisto per i compratori di obbligazionario.
Vanguard Trust S&P500 Index Fund – Vanguard Long-Term Treasury Fund (2021 – 2022)
Chiaramente, gran parte delle riflessioni degli investitori gira intorno alla valutazione circa quali livelli il mercato possa toccare prima di dar vita ad un impulso rialzista. In questo senso ad oggi dobbiamo prendere atto che il mercato resta in correzione, anche se ancora in linea con le previsioni (10% – 12%) del 6 Gennaio scorso, e che dobbiamo gestire la nostra esposizione in funzione di questo stato di cose, almeno fino al momento in cui osserveremo un segnale tangibile di ritorno ad una fase costruttiva.
Nell’ambito del mercato azionario, i movimenti dei gestori degli ultimi mesi sono stati piuttosto decisi, spostandosi tra aree geografiche (Stati Uniti vs Europa), stili (Value vs Growth) e fattori di rischio (High vs Low Beta) con l’ovvio fine di ridurre l’esposizione alla correzione senza però pregiudicare la capacità di cogliere la ripresa del trend primario. Questo stato di cose è molto ben colto dal rapporto di forza relativa tra l’S&P500 e la sua versione Low Beta.
Utilizzando delle semplici Bande di Bollinger come supporto visivo possiamo osservare come negli ultimi anni l’incrocio al ribasso del rapporto con le bande inferiori abbia poi portato ad una ripresa di forza relativa dell’indice americano e ad una sua sovraperformance rispetto alla versione Low Beta. Ora osserviamo questi minimi in relazione alla performance dell’S&P500:
S&P500 (2014 – 2020)
Come osserviamo, i minimi di forza relativa dell’S&P500 rispetto alla sua versione Low Beta sono corrisposti con importanti minimi dell’indice. Un quadro che trova corrispondenza anche nel rapporto tra Put e Call.
CBOE Put/Call Ratio (1992 – 2022)
Significa quindi che siamo su un minimo da cui partirà un rimbalzo? Assolutamente no: semplicemente consideriamo tutte le possibilità, compresa quella di essere sorpresi in positivo. Piuttosto, questo stato di cose conferma quanto gli investitori stiano cercando nicchie di valore nell’azionario, diversificando ma evitando di liquidare, non essendo le alternative attuali una valida opzione.
Nonostante la forza relativa ci fornisca un numero di elementi a sostegno dell’idea che un minimo significativo possa essere vicino, gli internals del mercato azionario, in linea con quanto osservato nelle settimane precedenti, continuano ad evidenziare debolezza. In aggiunta, la volatilità non accenna a mostrare segnali di significativa correzione e, al contrario, sta mettendo nel mirino le resistenze testate nelle scorse settimane.
VIX – New Methodology (2019 – 2022)
Quindi cosa attenderci? Ulteriore volatilità ed una prosecuzione della flessione o una ripresa di forza, assoluta e relativa, dei componenti del mercato che sono stati maggiormente colpiti da questo inizio di 2022? Certezze non ne abbiamo ma un aiuto può venirci dall’analisi del quadro macroeconomico di fondo. Sotto è riportato un’interessante studio che Nautilus Research ha pubblicato sul suo account Twitter: i rendimenti del Nasdaq e dell’S&P500 dopo che la media mobile a 50 giorni ha rotto al ribasso quella a 200 (c.d. death cross).
Nautilus Research (@NautilusCap – Twitter)
Lo studio evidenzia i rendimenti di entrambi gli indici a distanza di vari intervalli temporali. A distanza di un anno, in media, Nasdaq e S&P500 hanno guadagnato il 15,96% ed il 14%. Osservando gli anni in cui la chiusura in negativo, notiamo che in 4 di questi periodi l’economia americana era in recessione. Considerando che siamo in una fase di (forte) crescita economica, rimuoviamo dal calcolo gli anni negativi: il rendimento medio del Nasdaq ad un anno di distanza passa al 27.79% e al 18.32% per l’S&P500. Nel complesso quindi di una valutazione più ampia, il contesto macroeconomico resta ancora l’indicatore più costruttivo per guardare ai prossimi mesi. Ciò detto, il quadro resta di correzione, la volatilità in espansione e gli indici azionari, soprattutto quelli americani, oltre al DAX, scambiano su una linea di confine: i prezzi faranno il resto. Come investitori limitiamoci a mettiamo le nostre opinioni da parte e ad operare in relazione alle evidenze che i mercati mettono davanti ai nostri occhi.
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgersi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).
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Sulla linea del confine
La settimana scorsa avevamo sottolineato come il c.d. “market failure” degli indici azionari, ossia l’incapacità dei prezzi di consolidare sopra alcuni livelli, era la principale informazione che la settimana ci aveva portato in dote. Quella appena trascorsa ci ha fornito un ulteriore ed importante conferma della debolezza del quadro attuale.
Guardano alle performance relative degli indici azionari degli ultimi 12 mesi non ricordo a memoria una simile divergenza di performance a favore dell’Europa. Nei numeri, la correzione media degli indici europei è stata intorno al 5% dai massimi, mentre negli USA siamo intorno al 12%, con il Nasdaq a guidare la flessione. Questa differenza di performance ci fornisce due indicazioni: la crescita in Europa è stata, sul piano temporale, incorporata nei prezzi più tardi e, nonostante l’inflazione morda anche nel Vecchio Continente, un rialzo dei tassi è certamente più lontano dalle nostre parti che oltreoceano.
Sul fronte dell’inflazione il quadro resta in evoluzione perché, se da un lato osserviamo alcuni segnali di raffreddamento del trend di rialzo di alcune materie prime, dall’altro le strozzature sul lato della supply chain continuano a rappresentare un fattore di difficile prevedibilità.
Sul piano di quanto osserviamo sui prezzi, è difficile non sottolineare la rottura la rialzo della media mobile a 200 settimane dell’intermarket tra il principale ETF sulle società energetiche, XLE, e l’S&P500. L’ultima rottura a rialzo di questa resistenza dinamica si era osservata nel Luglio del 2010. (Parentesi: la bellezza di avere una logica rotazionale a gestire parte dell’esposizione ad un asset class è cogliere queste sovraperformance senza ricorre a ragionamenti discrezionali).
Scendendo sul piano della dinamica tra asset class il quadro non appare mutato, con gli investitori che, per quanto preoccupati, continuano a prediligere in termini relativi il mercato azionario, a riprova di quanto l’allargamento degli spread ad oggi non sia considerato ancora un’opportunità di acquisto per i compratori di obbligazionario.
Chiaramente, gran parte delle riflessioni degli investitori gira intorno alla valutazione circa quali livelli il mercato possa toccare prima di dar vita ad un impulso rialzista. In questo senso ad oggi dobbiamo prendere atto che il mercato resta in correzione, anche se ancora in linea con le previsioni (10% – 12%) del 6 Gennaio scorso, e che dobbiamo gestire la nostra esposizione in funzione di questo stato di cose, almeno fino al momento in cui osserveremo un segnale tangibile di ritorno ad una fase costruttiva.
Nell’ambito del mercato azionario, i movimenti dei gestori degli ultimi mesi sono stati piuttosto decisi, spostandosi tra aree geografiche (Stati Uniti vs Europa), stili (Value vs Growth) e fattori di rischio (High vs Low Beta) con l’ovvio fine di ridurre l’esposizione alla correzione senza però pregiudicare la capacità di cogliere la ripresa del trend primario. Questo stato di cose è molto ben colto dal rapporto di forza relativa tra l’S&P500 e la sua versione Low Beta.
Utilizzando delle semplici Bande di Bollinger come supporto visivo possiamo osservare come negli ultimi anni l’incrocio al ribasso del rapporto con le bande inferiori abbia poi portato ad una ripresa di forza relativa dell’indice americano e ad una sua sovraperformance rispetto alla versione Low Beta. Ora osserviamo questi minimi in relazione alla performance dell’S&P500:
Come osserviamo, i minimi di forza relativa dell’S&P500 rispetto alla sua versione Low Beta sono corrisposti con importanti minimi dell’indice. Un quadro che trova corrispondenza anche nel rapporto tra Put e Call.
Significa quindi che siamo su un minimo da cui partirà un rimbalzo? Assolutamente no: semplicemente consideriamo tutte le possibilità, compresa quella di essere sorpresi in positivo. Piuttosto, questo stato di cose conferma quanto gli investitori stiano cercando nicchie di valore nell’azionario, diversificando ma evitando di liquidare, non essendo le alternative attuali una valida opzione.
Nonostante la forza relativa ci fornisca un numero di elementi a sostegno dell’idea che un minimo significativo possa essere vicino, gli internals del mercato azionario, in linea con quanto osservato nelle settimane precedenti, continuano ad evidenziare debolezza. In aggiunta, la volatilità non accenna a mostrare segnali di significativa correzione e, al contrario, sta mettendo nel mirino le resistenze testate nelle scorse settimane.
Quindi cosa attenderci? Ulteriore volatilità ed una prosecuzione della flessione o una ripresa di forza, assoluta e relativa, dei componenti del mercato che sono stati maggiormente colpiti da questo inizio di 2022? Certezze non ne abbiamo ma un aiuto può venirci dall’analisi del quadro macroeconomico di fondo. Sotto è riportato un’interessante studio che Nautilus Research ha pubblicato sul suo account Twitter: i rendimenti del Nasdaq e dell’S&P500 dopo che la media mobile a 50 giorni ha rotto al ribasso quella a 200 (c.d. death cross).
Lo studio evidenzia i rendimenti di entrambi gli indici a distanza di vari intervalli temporali. A distanza di un anno, in media, Nasdaq e S&P500 hanno guadagnato il 15,96% ed il 14%. Osservando gli anni in cui la chiusura in negativo, notiamo che in 4 di questi periodi l’economia americana era in recessione. Considerando che siamo in una fase di (forte) crescita economica, rimuoviamo dal calcolo gli anni negativi: il rendimento medio del Nasdaq ad un anno di distanza passa al 27.79% e al 18.32% per l’S&P500. Nel complesso quindi di una valutazione più ampia, il contesto macroeconomico resta ancora l’indicatore più costruttivo per guardare ai prossimi mesi. Ciò detto, il quadro resta di correzione, la volatilità in espansione e gli indici azionari, soprattutto quelli americani, oltre al DAX, scambiano su una linea di confine: i prezzi faranno il resto. Come investitori limitiamoci a mettiamo le nostre opinioni da parte e ad operare in relazione alle evidenze che i mercati mettono davanti ai nostri occhi.
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgersi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).