Finisce in archivio una settimana che ha avuto nella giornata di venerdì la seduta più importante, con la maggior parte degli indici azionari che hanno chiuso sui massimi della settimana. Una simile chiusura è un segnale significativo, soprattutto in un contesto così incerto ed esposto all’evoluzione di diverse variabili esogene, senza considerare il raggiungimento della soglia del 2,5% dei Treasuries decennali USA.
Sugli indici azionari, la maggior forza relativa viene dall’S&P500, che ora scambia sopra resistenze dinamiche significative, seguito dal Dow Jones. Più indietro il Nasdaq e gli indici europei, penalizzati dallo scoppio del conflitto ucraino e ancora lontani da aree di prezzo realmente costruttive.
S&P500 (Giugno 2021 – Marzo 2022)
Contrariamente a quanto siamo soliti fare, questa settimana ha senso partire da quanto osserviamo nel settore del credito e dei tassi d’interesse, vista la rilevanza che l’inflazione, e le conseguenti scelte di politica monetaria, andranno a giocare nella formazione delle aspettative degli investitori nei prossimi mesi.
Da oltre diciotto mesi il mercato obbligazionario mondiale è in correzione, senza particolari distinzioni in termini di forza relativa tra il comparto governativo e quello corporate. Chiaramente, il valore del comparto in un contesto di tassi reali pesantemente negativi come quello attuale è nullo sul piano dei rendimenti e limitato alla capacità del governativo di offrire un cuscinetto di protezione dalle giornate di correzione caratterizzate da alta volatilità. Partendo dagli Stati Uniti, la domanda principale resta: fino a dove potranno spingersi i rendimenti? La dinamica dei Treasuries a dieci anni può fornirci dei riferimenti di fondo.
CBOE 10 Year US Treasury Yield (1981 – 2022)
Recentemente il decennale USA ha toccato il livello del 2,5%, massimo dal 2019, e l’idea di gran parte del consenso degli analisti è che gran parte della battaglia si giocherà sui livelli compresi tra il 3% e il 3,2%, massimo dall’Ottobre 2018.
Un rialzo dei rendimenti per ulteriori 50-70 punti base, dopo il forte rimbalzo dai minimi del 2020, potrebbe non essere raggiuto subito ma, chiaramente la sua evoluzione dipenderà da un contesto di fattori macroeconomici e geopolitici ancora da verificare. Storicamente, esistono livelli di guardia oltre i quali il mercato del credito inizia a produrre effetti di ‘‘market dislocations’’ sul mercato azionario, per via del crescente costo del credito. Non siamo ancora su livelli che possiamo considerare eccessivamente sensibili ma il contesto deve restare soggetto ad un attento monitoraggio. D’altronde, già ora TLT, il principale ETF obbligazionario sui Treasuries USA con duration superiore a 20 anni, scambia su supporti di lungo periodo molto delicati.
iShares 20+ Year US Treasury Bond ETF (2006 – 2022)
Sul piano delle indicazioni che le dinamiche sui tassi nelle varie scadenze possono fornirci in ordine al contesto macroeconomico, con discreta facilità si continua a paventare l’imminenza di segnali recessivi per l’economia globale. In questo senso, il differenziale tra i rendimenti tra la scadenza dei 2 e 10 anni si è storicamente dimostrata significativo. Tuttavia, la semplice osservazione grafica ci mette di fronte a due evidenze: in primis, l’inversione della curva dei tassi negli Stati Uniti ancora non si è verificata e, secondariamente, in diversi periodi storici, più o meno recenti, l’inversione della curva dei rendimenti non ha segnalato l’inizio di una recessione (1988 – 1990, 1995 – 2000 e, infine, 2005 – 2007).
10 Year Treasury Constant Maturity Minus 2-Year Treasury Constant Maturity (1975 – 2022)
Restando sul piano delle aspettative degli investitori, la relazione tra l’S&P500 e i Treasuries USA a 30 anni questa settimana ha registrato un nuovo massimo storico. Come osserviamo, i periodi in cui i Treasuries hanno sovraperformato l’indice americano sono coincisi con delle correzioni o delle profonde recessioni: si tratta quindi di un indicatore del sentiment di avversione / propensione al rischio degli investitori piuttosto affidabile. La formazione di un nuovo massimo storico recente è espressioni quindi un certa forza relativa dell’azionario e di un quadro certamente diverso da quello di Febbraio 2000 e Luglio 2007.
S&P500 Large Cap Index – CME CBOT 30 Year US Treasury Bond Price (1994 – 2022)
Sul fronte del mercato azionario, la recente ripresa di forza relativa del Dax rispetto all’S&P500, in evidente stato di ipervenduto, non ha trovato conferma dalla price action delle ultime sedute, confermando un quadro di sottoperformance dell’azionario europeo in linea con quanto osserviamo dal trend degli ultimi sette anni.
S&P500 Large Cap Index – German DAX Composite (2016 – 2022)
Ancor più nitido è il confronto con i mercati azionari emergenti, con la forza relativa dell’S&P500 rispetto ai mercati emergenti che è andata a formare nuovi massimi storici proprio nella giornata di venerdì scorso.
Se sul piano geografico il quadro resta piuttosto chiaro, meno nitido è lo scenario circa quale componente del mercato azionario rappresenti oggi la scelta primaria degli investitori. I dati in generale continuano ad evidenziare una generale preferenza per il comparto value e la sottoperformance del Nasdaq rispetto al Dow Jones negli ultimi due mesi ne è la prima conferma indiretta.
In generale gli investitori hanno prediletto i settori più difensivi della parte azionaria, come conferma la sovraperformance del comparto low volatility degli ultimi sei mesi, nonostante la perdita di forza relativa delle recenti sedute.
In questo senso, una conferma dell’incertezza circa le scelte di allocazione settoriale viene anche dall’assenza di direzionalità del rapporto tra i settori c.d. High Beta dell’S&P500 e l’indice stesso.
In un simile contesto l’elemento di maggior rassicurazione è il deciso abbassamento della volatilità, con l’indice VIX che, dopo essersi nuovamente avvicinato ad area 40 due settimane orsono, si è ora riportato intorno ad area 20 e vicino alla media mobile a 200 giorni. Evidentemente, un ripristino di condizioni di volatilità ben più contenute rispetto a quelle recenti rappresenta la miglior rassicurazione circa il ritorno di una fase costruttiva sugli indici azionari.
VIX volatility index – New Methodology (2010 – 2022)
In conclusione, l’ultima settimana sui mercati finanziari ha messo in luce i seguenti elementi:
Si osservano segnali di ritorno al risk-on, ma caratterizzati da una price action non ancora tipica delle fasi di market bottom.
Il miglioramento del quadro di fondo per l’azionario e per i growth assets è innegabile.
I rendimenti del governativo USA si stanno spostando su livelli molto sensibili (2.5% -3%), tanto per gli investitori di reddito fisso quanto per i gestori che si occupano di asset allocation. Le evoluzioni del quadro dei rendimenti si estenderanno a tutte le asset class.
I test delle prossime resistenze ci indicheranno più chiaramente se i minimi recenti sono minimi di periodo o se siamo di fronte ad un rimbalzo dall’evoluzione incerta.
Per i growth assets l’impostazione di lungo termine resta positiva, mentre nel breve periodo il quadro appare più incerto.
I temi legati all’inflazione, alle politiche monetarie delle banche centrali, ai prezzi dell’energia e al conflitto in Ucraina restano fattori di rischio ancora molto presenti.
Ulteriori rassicurazioni sulla solidità di questo rimbalzo devono spingerci a riallocare rapidamente la nostra esposizione a favore del trend di lungo periodo; parimenti il ritorno di segnali di fragilità nel breve ci suggerirebbero di mantenere un’esposizione difensiva.
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).
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Sugli indici azionari, la maggior forza relativa viene dall’S&P500, che ora scambia sopra resistenze dinamiche significative, seguito dal Dow Jones. Più indietro il Nasdaq e gli indici europei, penalizzati dallo scoppio del conflitto ucraino e ancora lontani da aree di prezzo realmente costruttive.
Contrariamente a quanto siamo soliti fare, questa settimana ha senso partire da quanto osserviamo nel settore del credito e dei tassi d’interesse, vista la rilevanza che l’inflazione, e le conseguenti scelte di politica monetaria, andranno a giocare nella formazione delle aspettative degli investitori nei prossimi mesi.
Da oltre diciotto mesi il mercato obbligazionario mondiale è in correzione, senza particolari distinzioni in termini di forza relativa tra il comparto governativo e quello corporate. Chiaramente, il valore del comparto in un contesto di tassi reali pesantemente negativi come quello attuale è nullo sul piano dei rendimenti e limitato alla capacità del governativo di offrire un cuscinetto di protezione dalle giornate di correzione caratterizzate da alta volatilità. Partendo dagli Stati Uniti, la domanda principale resta: fino a dove potranno spingersi i rendimenti? La dinamica dei Treasuries a dieci anni può fornirci dei riferimenti di fondo.
Recentemente il decennale USA ha toccato il livello del 2,5%, massimo dal 2019, e l’idea di gran parte del consenso degli analisti è che gran parte della battaglia si giocherà sui livelli compresi tra il 3% e il 3,2%, massimo dall’Ottobre 2018.
Un rialzo dei rendimenti per ulteriori 50-70 punti base, dopo il forte rimbalzo dai minimi del 2020, potrebbe non essere raggiuto subito ma, chiaramente la sua evoluzione dipenderà da un contesto di fattori macroeconomici e geopolitici ancora da verificare. Storicamente, esistono livelli di guardia oltre i quali il mercato del credito inizia a produrre effetti di ‘‘market dislocations’’ sul mercato azionario, per via del crescente costo del credito. Non siamo ancora su livelli che possiamo considerare eccessivamente sensibili ma il contesto deve restare soggetto ad un attento monitoraggio. D’altronde, già ora TLT, il principale ETF obbligazionario sui Treasuries USA con duration superiore a 20 anni, scambia su supporti di lungo periodo molto delicati.
Sul piano delle indicazioni che le dinamiche sui tassi nelle varie scadenze possono fornirci in ordine al contesto macroeconomico, con discreta facilità si continua a paventare l’imminenza di segnali recessivi per l’economia globale. In questo senso, il differenziale tra i rendimenti tra la scadenza dei 2 e 10 anni si è storicamente dimostrata significativo. Tuttavia, la semplice osservazione grafica ci mette di fronte a due evidenze: in primis, l’inversione della curva dei tassi negli Stati Uniti ancora non si è verificata e, secondariamente, in diversi periodi storici, più o meno recenti, l’inversione della curva dei rendimenti non ha segnalato l’inizio di una recessione (1988 – 1990, 1995 – 2000 e, infine, 2005 – 2007).
Restando sul piano delle aspettative degli investitori, la relazione tra l’S&P500 e i Treasuries USA a 30 anni questa settimana ha registrato un nuovo massimo storico. Come osserviamo, i periodi in cui i Treasuries hanno sovraperformato l’indice americano sono coincisi con delle correzioni o delle profonde recessioni: si tratta quindi di un indicatore del sentiment di avversione / propensione al rischio degli investitori piuttosto affidabile. La formazione di un nuovo massimo storico recente è espressioni quindi un certa forza relativa dell’azionario e di un quadro certamente diverso da quello di Febbraio 2000 e Luglio 2007.
Sul fronte del mercato azionario, la recente ripresa di forza relativa del Dax rispetto all’S&P500, in evidente stato di ipervenduto, non ha trovato conferma dalla price action delle ultime sedute, confermando un quadro di sottoperformance dell’azionario europeo in linea con quanto osserviamo dal trend degli ultimi sette anni.
Ancor più nitido è il confronto con i mercati azionari emergenti, con la forza relativa dell’S&P500 rispetto ai mercati emergenti che è andata a formare nuovi massimi storici proprio nella giornata di venerdì scorso.
Se sul piano geografico il quadro resta piuttosto chiaro, meno nitido è lo scenario circa quale componente del mercato azionario rappresenti oggi la scelta primaria degli investitori. I dati in generale continuano ad evidenziare una generale preferenza per il comparto value e la sottoperformance del Nasdaq rispetto al Dow Jones negli ultimi due mesi ne è la prima conferma indiretta.
In generale gli investitori hanno prediletto i settori più difensivi della parte azionaria, come conferma la sovraperformance del comparto low volatility degli ultimi sei mesi, nonostante la perdita di forza relativa delle recenti sedute.
In questo senso, una conferma dell’incertezza circa le scelte di allocazione settoriale viene anche dall’assenza di direzionalità del rapporto tra i settori c.d. High Beta dell’S&P500 e l’indice stesso.
In un simile contesto l’elemento di maggior rassicurazione è il deciso abbassamento della volatilità, con l’indice VIX che, dopo essersi nuovamente avvicinato ad area 40 due settimane orsono, si è ora riportato intorno ad area 20 e vicino alla media mobile a 200 giorni. Evidentemente, un ripristino di condizioni di volatilità ben più contenute rispetto a quelle recenti rappresenta la miglior rassicurazione circa il ritorno di una fase costruttiva sugli indici azionari.
In conclusione, l’ultima settimana sui mercati finanziari ha messo in luce i seguenti elementi:
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).