Se nella vita coltivare il dubbio è un esercizio consigliabile, sui mercati finanziari questa pratica va portata ai limiti dell’ossessione: in assenza di certezze, i mercati si muovono in termini di probabilità ed ogni analisi deve essere condotta tenendo conto di questo stato di cose, senza tuttavia scadere in quella che viene definita “paralysis by analysis”, ossia nell’incapacità di assumere decisioni.
Ripartiamo da quello che già la settimana passata avevamo identificato come il dato più significativo di questa fase di mercato. La flessione sul mercato obbligazionario prosegue (-11% da inizio anno, massima correzione dal 1980) e l’ETF iShares iBoxx Investment Grade Corporate Bond da diverse sedute ha rotto al ribasso la media mobile a 200 settimane, una circostanza verificatasi solamente in altre due circostanze negli ultimi 20 anni: nell’ottobre 2008 e nel marzo 2020.
iShares iBoxx $ Investment Grade Corporate Bond / S&P 500 Large Cap Index (2002 – 2022)
Il rendimento dell’S&P500 nei mesi immediatamente successivi è stato decisamente diverso: nel 2008 abbiamo assistito alla correzione più profonda dal 1929, mentre nel 2020 abbia osservato il più rapido ritorno sui massimi dell’indice, in soli 4 mesi, dopo una correzione superiore al 30%. La domanda nella mente di tutti è dove ci troviamo oggi nel quadro di questi due scenari estremi, consapevoli che un approdo dell’S&P500 sulla media mobile a 200 settimane implicherebbe, da questi livelli, una flessione di circa il 19%.
Fonte: DLD Capital SCF
La scorsa settimana è stata caratterizzata dalle dichiarazioni di Jerome Powell circa le prossime scelte di politica monetaria e dal nuovo dato sull’inflazione americana, arrivato all’8,5% nel mese di marzo. Ad oggi il Fed Fund Effective Rate, ossia del tasso di riferimento al netto dell’inflazione, è arrivato ai minimi di sempre, ben al di sotto del 5,4% del 1975: le parole di Powell circa la necessità di accelerare il processo di normalizzazione della politica monetaria non possono quindi arrivare come una sorpresa.
Con la necessità da parte della Fed di normalizzare rapidamente la sua politica monetaria e con i rendimenti dei Treasuries che da tempo riflettono un quadro monetario profondamente mutato, è legittimo interrogarsi circa la sostenibilità del debito, tanto a livello delle aziende quanto a quello delle famiglie. Recentemente, Goldman Sachs ha pubblicato una ricerca sul comparto obbligazionario, sottolineando come la sostenibilità del debito per le aziende sia migliore oggi che in confronto ad altri cicli economici.
Fonte: Goldman Sachs
Il dato in sé è ragionevole, se consideriamo che le condizioni finanziarie straordinariamente positive hanno consentito a tutte le aziende di gestire nel modo migliore la propria esposizione debitoria. Il quadro è lievemente differente per le famiglie, dove la capacità di servire il debito esistente potrebbe deteriorarsi rapidamente, all’aumentare dei tassi d’interesse.
Household Debt Service Payment as a % of Disposable Personal Income (2017 – 2022)
Da diverse settimane sottolineiamo come l’attuale quadro economico sia caratterizzato dalla compresenza di crescita economica solida, sia pure al netto delle recenti revisioni al ribasso delle stime, di uptrend dei prezzi delle materie prime e dei tassi d’interesse. Storicamente questo tipo di condizione non è favorevole per i mercati azionari ma il nostro obiettivo, come sempre, è valutare il grado di probabilità che una condizione simile si verifichi e, soprattutto, che tipo di riposta formulare sui portafogli dei nostri clienti.
Una delle prime considerazioni che possiamo formulare, nel quadro della verifica delle correlazioni tra strumenti finanziari, è che le fasi di sovraperformance delle materie prime rispetto al mercato azionario, per semplicità qui rappresentato dall’S&P500, possono durare anni. Nello specifico, nel grafico sottostante osserviamo come i due grandi cicli di maggior forza relativa delle materie prime rispetto all’azionario vanno dal luglio 1968 al settembre 1974 e dal maggio 1999 al giugno 2008. Non casualmente, queste fasi corrispondono ad importanti cicli rialzisti delle materie prime, accompagnate da notevole instabilità dell’indice azionario americano.
S&P500 Large Cap Index / Jeffries CRB Index (1958 – 2022)
Una seconda considerazione circa l’attuale stato delle cose ci viene dalla performance del cross valutario USDJPY, tornato sui massimi dal 2002, e che chiaramente evidenzia come gli investitori, indipendentemente dal sentiment di risk-on/risk-off, siano alla ricerca di valute che abbiano la capacità di remunerare il costo del capitale investito.
USDJPY US Dollar to Japanese Yen (EOD) – (1984 – 2022)
In sostanza, al passare del tempo il quadro di instabilità sui mercati azionari sembra accentuarsi, a fronte della possibilità di trovare copertura dall’inflazione mediante altri strumenti, materie prime in primis: è la natura mutevole dei mercati finanziari e la ragione per cui restare massimamente flessibili è, non da oggi, la sola scelta a disposizione di ogni investitore.
Paradossalmente, la maggiore complessità, sul piano delle scelte da operare, viene dal mercato azionario, che ha finora mostrato segnali di tenuta, a fronte di un drawdown massimo che ad oggi resta ancora confinato al minimo di febbraio scorso. Ciononostante, l’assenza di forza del comparto tecnologico, ed un dividend yield che oggi è pari alla metà del rendimento del Treasuries USA (1,37% vs 2,91%), non prefigurano un quadro di opportunità adeguatamente interessante per molti investitori azionari.
Sul piano delle valutazioni, in termini di multiplo prezzo utili (P/E) siamo tornati sui livelli di febbraio del 2020, in una condizione che evidenzia come il mercato abbia scontato già gran parte della crescita economia futura, riportando gli investitori in una condizione di neutralità rispetto ai prezzi attuali.
Tuttavia, sul piano della dinamica degli indicatori di sentiment si osservano livelli di pessimismo generalmente associati a potenziali livelli di bottom del mercato. Nel grafico sottostante si osserva la dinamica dell’S&P500 e dell’indicatore dato dal rapporto tra investitori ottimisti e pessimisti dell’American Association of Individual Investors. Negli ultimi 24 anni una percentuale di investitori ottimisti al di sotto del 25% ha corrisposto a significativi minimi di mercato, tranne in due eccezioni: 2002 – 2003 e 2008 – 2009.
S&P500 – AAII Bulls / AAII Bears (1998 – 2022)
Un contesto di ipervenduto sugli indicatori di sentiment viene anche dal Nasdaq, dove un 30% di titoli che scambiano al di sotto della media mobile a 200 settimane è generalmente associato a un minimo significativo. Anche in questa circostanza l’eccezione viene dalla crisi del 2008 – 2009.
Nasdaq 100 – Nasdaq 100 % di titoli che scambiano sopra la media mobile a 200 settimane
Le conclusioni sono ovvie: gli internals del mercato, al pari di qualsiasi altra analisi, descrivono un quadro parziale e mai soggetto ad un’unica interpretazione. Come sempre, i mercati vivono di scenari probabilistici che si muovono in funzione di un quadro in evoluzione. Oggi evidentemente le probabilità di un’estensione del ribasso sui mercati azionari sono maggiori rispetto alle settimane precedenti e se dovessimo entrare in un downtrend degli indici azionari, il ricorso allo studio degli indicatori di sentiment dovrebbe farsi progressivamente sempre più cauto: la loro significatività è alta quando identificano minimi e massimi di periodo nell’ambito di un trend, ma lo sono molto meno quando devono identificare delle inversioni di trend, ad esempio da ribassista a rialzista. Come analisti e consulenti, il nostro compito resta sempre quello di adeguare la nostra esposizione al quadro di riferimento.
Nel grafico sottostante confrontiamo la correzione attuale dell’indice americano con quella partita a giugno 2000 e quella che parte dai massimi di luglio del 2007. In tutte e tre le circostanze l’indice ha rotto il fascio di medie mobili a 50, 75, 100, 150 e 200 giorni. Dalla generazione di questo segnale, nel 2003 l’indice perse circa un ulteriore 42% mentre nel 2009 l’indice perse circa il 50% .
La rottura al ribasso di un fascio di medie mobili è un concetto semplice ma che ci pone di fronte una sfida significativa: comprendere se, e in che misura, lo scenario attuale possa mutare in qualcosa di simile a quanto in passato già osservato. Ad oggi non siamo ancora in questa condizione ma, come sempre, il nostro lavoro non è interpretare gli eventi, né prevederne le relative evoluzioni, quanto piuttosto reagire in conseguenza all’evoluzione dei fatti.
L’unico momento in cui sei realmente diversificato è quando detieni assets che non vorresti detenere – Peter L. Bernstein
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Ripartiamo da quello che già la settimana passata avevamo identificato come il dato più significativo di questa fase di mercato. La flessione sul mercato obbligazionario prosegue (-11% da inizio anno, massima correzione dal 1980) e l’ETF iShares iBoxx Investment Grade Corporate Bond da diverse sedute ha rotto al ribasso la media mobile a 200 settimane, una circostanza verificatasi solamente in altre due circostanze negli ultimi 20 anni: nell’ottobre 2008 e nel marzo 2020.
Il rendimento dell’S&P500 nei mesi immediatamente successivi è stato decisamente diverso: nel 2008 abbiamo assistito alla correzione più profonda dal 1929, mentre nel 2020 abbia osservato il più rapido ritorno sui massimi dell’indice, in soli 4 mesi, dopo una correzione superiore al 30%. La domanda nella mente di tutti è dove ci troviamo oggi nel quadro di questi due scenari estremi, consapevoli che un approdo dell’S&P500 sulla media mobile a 200 settimane implicherebbe, da questi livelli, una flessione di circa il 19%.
La scorsa settimana è stata caratterizzata dalle dichiarazioni di Jerome Powell circa le prossime scelte di politica monetaria e dal nuovo dato sull’inflazione americana, arrivato all’8,5% nel mese di marzo. Ad oggi il Fed Fund Effective Rate, ossia del tasso di riferimento al netto dell’inflazione, è arrivato ai minimi di sempre, ben al di sotto del 5,4% del 1975: le parole di Powell circa la necessità di accelerare il processo di normalizzazione della politica monetaria non possono quindi arrivare come una sorpresa.
Con la necessità da parte della Fed di normalizzare rapidamente la sua politica monetaria e con i rendimenti dei Treasuries che da tempo riflettono un quadro monetario profondamente mutato, è legittimo interrogarsi circa la sostenibilità del debito, tanto a livello delle aziende quanto a quello delle famiglie. Recentemente, Goldman Sachs ha pubblicato una ricerca sul comparto obbligazionario, sottolineando come la sostenibilità del debito per le aziende sia migliore oggi che in confronto ad altri cicli economici.
Il dato in sé è ragionevole, se consideriamo che le condizioni finanziarie straordinariamente positive hanno consentito a tutte le aziende di gestire nel modo migliore la propria esposizione debitoria. Il quadro è lievemente differente per le famiglie, dove la capacità di servire il debito esistente potrebbe deteriorarsi rapidamente, all’aumentare dei tassi d’interesse.
Da diverse settimane sottolineiamo come l’attuale quadro economico sia caratterizzato dalla compresenza di crescita economica solida, sia pure al netto delle recenti revisioni al ribasso delle stime, di uptrend dei prezzi delle materie prime e dei tassi d’interesse. Storicamente questo tipo di condizione non è favorevole per i mercati azionari ma il nostro obiettivo, come sempre, è valutare il grado di probabilità che una condizione simile si verifichi e, soprattutto, che tipo di riposta formulare sui portafogli dei nostri clienti.
Una delle prime considerazioni che possiamo formulare, nel quadro della verifica delle correlazioni tra strumenti finanziari, è che le fasi di sovraperformance delle materie prime rispetto al mercato azionario, per semplicità qui rappresentato dall’S&P500, possono durare anni. Nello specifico, nel grafico sottostante osserviamo come i due grandi cicli di maggior forza relativa delle materie prime rispetto all’azionario vanno dal luglio 1968 al settembre 1974 e dal maggio 1999 al giugno 2008. Non casualmente, queste fasi corrispondono ad importanti cicli rialzisti delle materie prime, accompagnate da notevole instabilità dell’indice azionario americano.
Una seconda considerazione circa l’attuale stato delle cose ci viene dalla performance del cross valutario USDJPY, tornato sui massimi dal 2002, e che chiaramente evidenzia come gli investitori, indipendentemente dal sentiment di risk-on/risk-off, siano alla ricerca di valute che abbiano la capacità di remunerare il costo del capitale investito.
In sostanza, al passare del tempo il quadro di instabilità sui mercati azionari sembra accentuarsi, a fronte della possibilità di trovare copertura dall’inflazione mediante altri strumenti, materie prime in primis: è la natura mutevole dei mercati finanziari e la ragione per cui restare massimamente flessibili è, non da oggi, la sola scelta a disposizione di ogni investitore.
Paradossalmente, la maggiore complessità, sul piano delle scelte da operare, viene dal mercato azionario, che ha finora mostrato segnali di tenuta, a fronte di un drawdown massimo che ad oggi resta ancora confinato al minimo di febbraio scorso. Ciononostante, l’assenza di forza del comparto tecnologico, ed un dividend yield che oggi è pari alla metà del rendimento del Treasuries USA (1,37% vs 2,91%), non prefigurano un quadro di opportunità adeguatamente interessante per molti investitori azionari.
Sul piano delle valutazioni, in termini di multiplo prezzo utili (P/E) siamo tornati sui livelli di febbraio del 2020, in una condizione che evidenzia come il mercato abbia scontato già gran parte della crescita economia futura, riportando gli investitori in una condizione di neutralità rispetto ai prezzi attuali.
Tuttavia, sul piano della dinamica degli indicatori di sentiment si osservano livelli di pessimismo generalmente associati a potenziali livelli di bottom del mercato. Nel grafico sottostante si osserva la dinamica dell’S&P500 e dell’indicatore dato dal rapporto tra investitori ottimisti e pessimisti dell’American Association of Individual Investors. Negli ultimi 24 anni una percentuale di investitori ottimisti al di sotto del 25% ha corrisposto a significativi minimi di mercato, tranne in due eccezioni: 2002 – 2003 e 2008 – 2009.
Un contesto di ipervenduto sugli indicatori di sentiment viene anche dal Nasdaq, dove un 30% di titoli che scambiano al di sotto della media mobile a 200 settimane è generalmente associato a un minimo significativo. Anche in questa circostanza l’eccezione viene dalla crisi del 2008 – 2009.
Le conclusioni sono ovvie: gli internals del mercato, al pari di qualsiasi altra analisi, descrivono un quadro parziale e mai soggetto ad un’unica interpretazione. Come sempre, i mercati vivono di scenari probabilistici che si muovono in funzione di un quadro in evoluzione. Oggi evidentemente le probabilità di un’estensione del ribasso sui mercati azionari sono maggiori rispetto alle settimane precedenti e se dovessimo entrare in un downtrend degli indici azionari, il ricorso allo studio degli indicatori di sentiment dovrebbe farsi progressivamente sempre più cauto: la loro significatività è alta quando identificano minimi e massimi di periodo nell’ambito di un trend, ma lo sono molto meno quando devono identificare delle inversioni di trend, ad esempio da ribassista a rialzista. Come analisti e consulenti, il nostro compito resta sempre quello di adeguare la nostra esposizione al quadro di riferimento.
Nel grafico sottostante confrontiamo la correzione attuale dell’indice americano con quella partita a giugno 2000 e quella che parte dai massimi di luglio del 2007. In tutte e tre le circostanze l’indice ha rotto il fascio di medie mobili a 50, 75, 100, 150 e 200 giorni. Dalla generazione di questo segnale, nel 2003 l’indice perse circa un ulteriore 42% mentre nel 2009 l’indice perse circa il 50% .
La rottura al ribasso di un fascio di medie mobili è un concetto semplice ma che ci pone di fronte una sfida significativa: comprendere se, e in che misura, lo scenario attuale possa mutare in qualcosa di simile a quanto in passato già osservato. Ad oggi non siamo ancora in questa condizione ma, come sempre, il nostro lavoro non è interpretare gli eventi, né prevederne le relative evoluzioni, quanto piuttosto reagire in conseguenza all’evoluzione dei fatti.
L’unico momento in cui sei realmente diversificato è quando detieni assets che non vorresti detenere – Peter L. Bernstein
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).