La natura costantemente mutevole dei mercati finanziari ci impone una costante revisione delle scelte che effettuiamo, nella consapevolezza che ogni opzione rappresenta spesso una scelta sub-ottimale ma anche nel conforto che gli errori non sono quasi mai decisivi: soprattutto su questo fronte esiste un tema di misura (“di quanto sbaglio”) e di frequenza (“quanto frequentemente sbaglio”). Certamente, alcune fasi sono più delicate di altre e la sensazione è che quella attuale sia una di queste.
Nell’approfondimento della settimana precedente avevamo concluso la nostra riflessione con un interrogativo, difficile ma dal quale non possiamo sottrarci, circa la dimensione futura di questa correzione: nello specifico, in quale misura la correzione che osserviamo da inizio anno possa trasformarsi in un “bear” market come quello del 2000 – 2002 o del 2007-2009.
S&P500 Index (2020 – 2022; 2000-2002; 2007-2009)
L’altra considerazione, più operativa e meno generale, è il valore sempre più ridotto che gli indicatori di sentiment tendono ad assumere in questa fase. La ragione è semplice: gli estremi di pessimismo degli investitori sono spesso associati ai minimi di mercato. Tuttavia, se tale pessimismo permane, aumentano le probabilità che una fase di correzione possa trasformarsi in un bear market, stravolgendo il quadro di fondo delle nostre aspettative.
Se infatti osserviamo il numero di titoli dell’indice S&P500 che scambiano sopra la media mobile a 50 giorni, un supporto dinamico piuttosto elementare, possiamo dedurre due conclusioni: in primo luogo, una flessione intorno al 30% è un evento piuttosto frequente e di conseguenza esiste un discreto spazio affinché questa percentuale scenda ulteriormente. La seconda è che nelle fasi di downtrend, ad esempio tra il 2007 e il 2009, questa debolezza può in maniera persistenze restare su livelli molto depressi, senza che tuttavia che il mercato trovi veri compratori.
S&P500 Index – S&P500 % di titoli che scambiano sopra la media mobile a 50 giorni
Se estendiamo lo sguardo alla percentuale di titoli che scambiano sopra la media mobile a 200 giorni, il quadro non cambia significativamente: anche qui esiste uno spazio per una discesa sotto i livelli attuali e, come nel caso precedente, il 2007 – 2009 rappresenta il perfetto esempio in cui un indicatore di tipo “contrarian” come questo, ossia che indica opportunità di acquisto in caso di debolezza, possa diventare molto fuorviante se osservato nel quadro di un mercato che sta cambiando trend di fondo.
S&P500 Index – S&P500 % di titoli che scambiano sopra la media mobile a 200 giorni
A questo punto è pienamente legittimo domandarsi come uscire da un simile impasse, chiarito che diversi indicatori evidenziano segnali di ipervenduto sul mercato azionario (la buona notizia), ma in contemporanea, il persistere di questo stato di cose non fa che aumentare la probabilità che l’indice entri in una fase di più profonda e non necessariamente rapida correzione (la cattiva notizia). Come sempre, l’unica strada operativamente fattibili consiste nell’osservare lo stesso fenomeno da angolazioni diverse, ricercando le conferme o le smentite circa le ipotesi sul tavolo.
In questo senso la settimana ci ha portato in dote un segnale piuttosto raro di ipervenduto su un altro indicatore di sentiment: il rapporto tra rialzisti e ribassisti dell’American Association of Individual Investors (AAII). Nello specifico, il minimo di questa settimana presenta due soli precedenti nella sua storia: settembre 1990 e marzo 2009.
S&P500 – AAII Bulls / AAII Bears (1989 – 2022)
Naturalmente, andiamo a verificare rendimento e drawdown dell’indice fino a fine anno, ossia fino dicembre 1990 e dicembre 2009. I dati sono incoraggianti.
Fonte: DLD Capital SCF
Considerato in questa ottica, sembrerebbe che siamo di fronte all’ennesimo segnale di esaurimento della pressione ribassista, con la possibilità che a questi livelli il mercato offra un buon rapporto tra rendimento e rischio.
Volendo tuttavia applicare un ulteriore cautela alla nostra stima, ha forse senso non considerare il singolo segnale ma estendere questa valutazione alla media mensile (quattro settimane) dell’indicatore, soprattutto al fine di cogliere il trend di fondo dello stesso, come sempre accade quando si considera la media di un valore e non la sua ultima rilevazione.
S&P500 – AAII Bulls / AAII Bears (1989 – 2022) – media a 4 settimane
L’osservazione della media a quattro settimane non sembrerebbe restituire differenze significative rispetto alla singola rilevazione. Tuttavia, la differenza, non sottile, si trova nella data di generazione del segnale: agosto 1990, e non ottobre 1990, e dicembre 2009, e non marzo 2009. Sia pure per pochi mesi, il quadro cambia significativamente.
Fonte: DLD Capital SCF
Sia pure per pochi mesi, il quadro cambia significativamente. La conclusione è piuttosto ovvia: allo stato attuale delle cose, l’indice americano potrebbe andare incontro ad una fase di sofferenza piuttosto limitata, intorno al 5%, oppure dar luogo a quella che, in gergo, viene comunemente definita “final capitulation”, ossia una flessione molto più estesa, sia come dimensione del movimento sia come arco temporale entro il quale lo stesso si svilupperebbe.
Giunti a questo punto, ha senso domandarsi quale potrebbe essere il quadro di riferimento per gli indici azionari, chiarito che, soprattutto per quanto riguarda gli Stati Unit, la tenuta degli stessi è stata finora notevole, considerando la performance dei due anni precedenti e le diverse variabili che da inizio anno pesano sull’azionario (forte rialzo dei tassi d’interesse, normalizzazione della politica monetaria da parte delle banche centrali, inflazione da materie prime ed, infine, il conflitto in Ucraina).
L’indice S&P500 ha chiuso il mese di aprile sui minimi di febbraio scorso e, per la prima volta da agosto 2020 abbiamo osservato una conformazione al ribasso del MACD, un indicatore di medie mobili piuttosto lento ma che, proprio per la sua natura “lagging”, ben coglie i cambi di trend.
S&P500 Index mensile (2012 – 2022)
Negli ultimi venti anni quest’indicatore ha girato al ribasso in sei circostanze, registrando un drawdown medio dal segnale nell’ordine del 20,74%, una flessione che metterebbe l’indice americano sulla traiettoria di avvicinarsi in futuro a supporti molto significativi.
Fonte: DLD Capital SCF
La medesima osservazione si può fare con riferimento all’indice azionario MSCI World (ex. USA) che ha sperimentato la medesima flessione al verificarsi del segnale.
MSCI World (ex. USA) Index mensile (2012 – 2022)
Fonte: DLD Capital SCF
In questa, come in tutte le circostanze di mercato, è fondamentale ricordare come il quadro storico estratto ci aiuta a formulare uno scenario probabilistico e che, come sempre, è necessaria la massima flessibilità nelle scelte, al fine di essere pronti a fronteggiare tanto uno scenario peggiore quanto uno migliore rispetto a quello attuale.
L’analisi delle serie storiche, ed il continuo utilizzo del passato come punto riferimento nella formulazione delle nostre aspettative, serve esattamente a questo: non restare mentalmente fermi in uno scenario, positivo o negativo che sia, ma restare aperti a qualsiasi possibilità, migliore o peggiore rispetto alle aspettative.
La fragilità dei mercati finanziaria, tanto sul fronte azionario quanto su quello obbligazionario, sembra oggi destinata a permanere. Tuttavia, i prezzi hanno già oggi diversi scenari, soprattutto in termini di rialzo dei tassi d’interesse per le prossime sedute della Fed. Segnali di rallentamento dell’economia o anche solo un minimo cambio di sentiment della banca centrale americana potrebbero cambiare significativamente il quadro di fondo, favorendo una ripresa di diversi risky assets, su tutti il settore tecnologico. Non è questo ora il caso, se consideriamo che l’ETF ARK Innovation, uno dei principali ETF barometro del settore tech, è sceso sui livelli del 13 aprile 2020 e non dà segnali di esaurimento del downtrend degli ultimi mesi.
ETF ARK Innovation (2020 – 2022)
In conclusione, il contesto di fondo non è cambiato rispetto alla settimana precedente e dobbiamo essere pronti a fronteggiare qualsiasi scenario futuro. In questa fase le banche centrali, Fed in primis, sono chiamate a fronteggiare l’inflazione e questo le rende non così “market friendly” come in passato. Ulteriori discese delle quotazioni, tanto sull’azionario quanto sull’obbligazionario, sono possibili ma, come sempre, questo crea delle opportunità. Come le recenti trimestrali americane dimostrano, il mercato per ora non guarda i fondamentali: o, forse, si.
Come investitore devi difenderti ed aggredire allo stesso tempo. Se non sei aggressivo, rischi di non guadagnare, ma se non ti difendi, rischi di perdere.
Ray Dalio
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).
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Oltre i fondamentali
La natura costantemente mutevole dei mercati finanziari ci impone una costante revisione delle scelte che effettuiamo, nella consapevolezza che ogni opzione rappresenta spesso una scelta sub-ottimale ma anche nel conforto che gli errori non sono quasi mai decisivi: soprattutto su questo fronte esiste un tema di misura (“di quanto sbaglio”) e di frequenza (“quanto frequentemente sbaglio”). Certamente, alcune fasi sono più delicate di altre e la sensazione è che quella attuale sia una di queste.
Nell’approfondimento della settimana precedente avevamo concluso la nostra riflessione con un interrogativo, difficile ma dal quale non possiamo sottrarci, circa la dimensione futura di questa correzione: nello specifico, in quale misura la correzione che osserviamo da inizio anno possa trasformarsi in un “bear” market come quello del 2000 – 2002 o del 2007-2009.
L’altra considerazione, più operativa e meno generale, è il valore sempre più ridotto che gli indicatori di sentiment tendono ad assumere in questa fase. La ragione è semplice: gli estremi di pessimismo degli investitori sono spesso associati ai minimi di mercato. Tuttavia, se tale pessimismo permane, aumentano le probabilità che una fase di correzione possa trasformarsi in un bear market, stravolgendo il quadro di fondo delle nostre aspettative.
Se infatti osserviamo il numero di titoli dell’indice S&P500 che scambiano sopra la media mobile a 50 giorni, un supporto dinamico piuttosto elementare, possiamo dedurre due conclusioni: in primo luogo, una flessione intorno al 30% è un evento piuttosto frequente e di conseguenza esiste un discreto spazio affinché questa percentuale scenda ulteriormente. La seconda è che nelle fasi di downtrend, ad esempio tra il 2007 e il 2009, questa debolezza può in maniera persistenze restare su livelli molto depressi, senza che tuttavia che il mercato trovi veri compratori.
Se estendiamo lo sguardo alla percentuale di titoli che scambiano sopra la media mobile a 200 giorni, il quadro non cambia significativamente: anche qui esiste uno spazio per una discesa sotto i livelli attuali e, come nel caso precedente, il 2007 – 2009 rappresenta il perfetto esempio in cui un indicatore di tipo “contrarian” come questo, ossia che indica opportunità di acquisto in caso di debolezza, possa diventare molto fuorviante se osservato nel quadro di un mercato che sta cambiando trend di fondo.
A questo punto è pienamente legittimo domandarsi come uscire da un simile impasse, chiarito che diversi indicatori evidenziano segnali di ipervenduto sul mercato azionario (la buona notizia), ma in contemporanea, il persistere di questo stato di cose non fa che aumentare la probabilità che l’indice entri in una fase di più profonda e non necessariamente rapida correzione (la cattiva notizia). Come sempre, l’unica strada operativamente fattibili consiste nell’osservare lo stesso fenomeno da angolazioni diverse, ricercando le conferme o le smentite circa le ipotesi sul tavolo.
In questo senso la settimana ci ha portato in dote un segnale piuttosto raro di ipervenduto su un altro indicatore di sentiment: il rapporto tra rialzisti e ribassisti dell’American Association of Individual Investors (AAII). Nello specifico, il minimo di questa settimana presenta due soli precedenti nella sua storia: settembre 1990 e marzo 2009.
Naturalmente, andiamo a verificare rendimento e drawdown dell’indice fino a fine anno, ossia fino dicembre 1990 e dicembre 2009. I dati sono incoraggianti.
Considerato in questa ottica, sembrerebbe che siamo di fronte all’ennesimo segnale di esaurimento della pressione ribassista, con la possibilità che a questi livelli il mercato offra un buon rapporto tra rendimento e rischio.
Volendo tuttavia applicare un ulteriore cautela alla nostra stima, ha forse senso non considerare il singolo segnale ma estendere questa valutazione alla media mensile (quattro settimane) dell’indicatore, soprattutto al fine di cogliere il trend di fondo dello stesso, come sempre accade quando si considera la media di un valore e non la sua ultima rilevazione.
L’osservazione della media a quattro settimane non sembrerebbe restituire differenze significative rispetto alla singola rilevazione. Tuttavia, la differenza, non sottile, si trova nella data di generazione del segnale: agosto 1990, e non ottobre 1990, e dicembre 2009, e non marzo 2009. Sia pure per pochi mesi, il quadro cambia significativamente.
Sia pure per pochi mesi, il quadro cambia significativamente. La conclusione è piuttosto ovvia: allo stato attuale delle cose, l’indice americano potrebbe andare incontro ad una fase di sofferenza piuttosto limitata, intorno al 5%, oppure dar luogo a quella che, in gergo, viene comunemente definita “final capitulation”, ossia una flessione molto più estesa, sia come dimensione del movimento sia come arco temporale entro il quale lo stesso si svilupperebbe.
Giunti a questo punto, ha senso domandarsi quale potrebbe essere il quadro di riferimento per gli indici azionari, chiarito che, soprattutto per quanto riguarda gli Stati Unit, la tenuta degli stessi è stata finora notevole, considerando la performance dei due anni precedenti e le diverse variabili che da inizio anno pesano sull’azionario (forte rialzo dei tassi d’interesse, normalizzazione della politica monetaria da parte delle banche centrali, inflazione da materie prime ed, infine, il conflitto in Ucraina).
L’indice S&P500 ha chiuso il mese di aprile sui minimi di febbraio scorso e, per la prima volta da agosto 2020 abbiamo osservato una conformazione al ribasso del MACD, un indicatore di medie mobili piuttosto lento ma che, proprio per la sua natura “lagging”, ben coglie i cambi di trend.
Negli ultimi venti anni quest’indicatore ha girato al ribasso in sei circostanze, registrando un drawdown medio dal segnale nell’ordine del 20,74%, una flessione che metterebbe l’indice americano sulla traiettoria di avvicinarsi in futuro a supporti molto significativi.
La medesima osservazione si può fare con riferimento all’indice azionario MSCI World (ex. USA) che ha sperimentato la medesima flessione al verificarsi del segnale.
Fonte: DLD Capital SCF
In questa, come in tutte le circostanze di mercato, è fondamentale ricordare come il quadro storico estratto ci aiuta a formulare uno scenario probabilistico e che, come sempre, è necessaria la massima flessibilità nelle scelte, al fine di essere pronti a fronteggiare tanto uno scenario peggiore quanto uno migliore rispetto a quello attuale.
L’analisi delle serie storiche, ed il continuo utilizzo del passato come punto riferimento nella formulazione delle nostre aspettative, serve esattamente a questo: non restare mentalmente fermi in uno scenario, positivo o negativo che sia, ma restare aperti a qualsiasi possibilità, migliore o peggiore rispetto alle aspettative.
La fragilità dei mercati finanziaria, tanto sul fronte azionario quanto su quello obbligazionario, sembra oggi destinata a permanere. Tuttavia, i prezzi hanno già oggi diversi scenari, soprattutto in termini di rialzo dei tassi d’interesse per le prossime sedute della Fed. Segnali di rallentamento dell’economia o anche solo un minimo cambio di sentiment della banca centrale americana potrebbero cambiare significativamente il quadro di fondo, favorendo una ripresa di diversi risky assets, su tutti il settore tecnologico. Non è questo ora il caso, se consideriamo che l’ETF ARK Innovation, uno dei principali ETF barometro del settore tech, è sceso sui livelli del 13 aprile 2020 e non dà segnali di esaurimento del downtrend degli ultimi mesi.
In conclusione, il contesto di fondo non è cambiato rispetto alla settimana precedente e dobbiamo essere pronti a fronteggiare qualsiasi scenario futuro. In questa fase le banche centrali, Fed in primis, sono chiamate a fronteggiare l’inflazione e questo le rende non così “market friendly” come in passato. Ulteriori discese delle quotazioni, tanto sull’azionario quanto sull’obbligazionario, sono possibili ma, come sempre, questo crea delle opportunità. Come le recenti trimestrali americane dimostrano, il mercato per ora non guarda i fondamentali: o, forse, si.
Come investitore devi difenderti ed aggredire allo stesso tempo. Se non sei aggressivo, rischi di non guadagnare, ma se non ti difendi, rischi di perdere.
Ray Dalio
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).