​ 0692915064 |   ​ info@dldcapital.it

Attento a ciò che desideri

Non serve un particolare spirito d’osservazione per comprendere la delicatezza di questa fase di mercato. Nella realtà, tutte le fasi di mercato sono delicate ma è evidente come, nel corso di questo primo semestre del 2022, ci siamo ritrovati ad osservare fenomeni statisticamente molto rari e che richiedono di un livello di cautela e ponderazione nelle scelte d’investimento superiore rispetto al recente passato.

Certamente, aver gestito attivamente nei mesi precedenti questa estesa fase di massimi di mercato ci mette nelle condizioni di poter analizzare quanto avviene sui mercati finanziari con maggior serenità. Altrettanto evidentemente, le scelte future di asset e capital allocation restano ancora complesse: fondamentalmente, perché non ci è ancora evidente se siamo di fronte ad una flessione, per quanto marcata, nell’ambito di un up-trend o se, diversamente, ci ritroviamo oramai in un “bear market”, ossia in un mercato che ha invertito la sua direzione primaria.

La definizione di bear market è quella di un mercato che ha sperimentato una correzione superiore al venti percento dai suoi massimi. Come sempre, le definizioni aiutano a comprendere il quadro di riferimento ma la loro applicazione sul piano operativo raramente ci è di aiuto nell’implementare le nostre scelte d’investimento.

Sul piano generale, la correzione del Nasdaq e dell’S&P500 oltre il 20%, la flessione del Russell 2000 oltre il 30% e la capitolazione di interi comparti, tra cui il famoso ARKK ETF, certamente ci orientano ad affermare che siamo in un mercato orso. In aggiunta, un semplice fascio di medie mobili ci rende evidente come, al passare del tempo, la fase di distribuzione sugli indici azionari aumenti le probabilità che questo mercato cambi il suo trend primario in maniera strutturale.

S&P500 e Dow Jones Industrial Average (luglio 2020 – maggio 2022)  

A complicare il quadro di riferimento per il mercato azionario è quanto sta accadendo sul comparto obbligazionario: su questo fronte, siamo nella flessione più grande dal 1980. Nei fatti, se le correzioni sui mercati azionari sono un fenomeno fisiologico, certamente non siamo abituati ad una correzione di dimensioni così rilevanti per quello obbligazionario.  Quanto incide questo stato di cose sulle nostre scelte? Moltissimo e vediamo perchè.

Nella tabella sottostante abbiamo preso in considerazione gli anni in cui l’S&P500 ha chiuso in negativo e la corrispondente performance del Treasury USA a 10 anni: come osserviamo, in tutti gli anni in cui l’indice americano ha chiuso in negativo, il decennale americano ha chiuso in positivo. Ad oggi, l’S&P500 ha perso il 19,21% ma anche il decennale USA è in flessione da inizio anno del 9,37%.    

Fonte: DLD Capital SCF

L’anno non si è ancora concluso ma quanto osserviamo su questi dati ci racconta chiaramente quanto eccezionale sia il momento attuale. Due sono le considerazioni che questo stato di cose ci suggerisce: in primis, osserviamo come sia venuta completamente a mancare la diversificazione, sia pur minima come nel 2018, che l’obbligazionario era in condizione di fornirci. Secondariamente, dobbiamo prendere atto che siamo in un sell-off generalizzato: un qualcosa di estremamente raro.

Sappiamo, per esperienza, che il mercato del credito tende a correggere in anticipo rispetto a quello azionario. Tuttavia, la correzione di oggi del credito è di una tale dimensione che ci deve spingere a considerare qualsiasi eventualità, in primis che la flessione sul mercato azionario sia solo iniziata e possa spingersi ben oltre i livelli attuali: non possiamo affermare che questo sia lo scenario base ma, con il passare del tempo, dobbiamo considerare tutte le opzioni possibili. In un senso più strettamente operativo: è necessario un rimbalzo significativo dell’azionario per convincerci che il peggio sia, anche solo temporaneamente, alle spalle.

Sul piano di quanto abbiamo osservato nel corso della settimana passata, è stato interessante notare la chiusura di venerdì degli indici americani. Nello specifico, l’S&P500 ha chiuso la seduta di giovedì sotto i 4.000 punti, salvo poi dare vita ad una seduta di rialzo fortemente direzionale, per chiudere a 4.023 punti. Da sottolineare che la seduta ha visto un rialzo di oltre il 90% dei titoli dell’indice e un ribasso di meno del 10% dello stesso. Un rimbalzo in larga misura guidato dalla chiusura di posizioni short o un minimo di periodo? La risposta non è immediata ma possiamo ragionevolmente arrivarci.

S&P500 (agosto 2021 – maggio 2022)

Sul piano degli internals, osservando la percentuale di titoli che scambia sopra la media mobile a 50 giorni, rileviamo che alla chiusura di venerdì il 21% circa dei titoli dell’indice scambia sopra questo livello: un dato che certamente testimonia la fragilità dell’indice americano ma che non ha ancora raggiunto livelli estremi, in termini di minimi significativi, come quelli del 2011, 2016, 2019 o 2020.

S&P500, % di titoli che scambia sopra la media mobile a 50 giorni (2011 –2022)

Se allarghiamo lo sguardo alla medesima metrica, ma calcolata sulla media mobile a 200 giorni, osserviamo come anche in questo caso non siamo di fronte a livelli di ipervenduto associabili a minimi particolarmente significativi negli ultimi venti anni.

S&P500, % di titoli che scambia sopra la media mobile a 200 giorni (2011 –2022)

Diversamente da quanto osserviamo sugli internals, il rapporto tra gli investitori rialzisti e quelli ribassisti, censito dall’American Association of Individual Investors, resta da alcune settimane su livelli osservati solo nel marzo 2009 e nel gennaio 1990. Si tratta di livelli di ipervenduto significativi: in entrambi i casi l’indice ha realizzato un rialzo del 30% circa nei dodici mesi successivi.

AAII Bull/Bear Index (1990 –2022)

Il quadro, quindi, non offre una lettura univoca: gli internals evidenziano una condizione di stress non particolarmente significativo, e quindi potenzialmente esposta ad ulteriori estensioni del ribasso, mentre il Bull/Bear Index da diverse settimane resta in una condizione di forte ipervenduto che nel passato ha rappresentato un minimo di periodo rilevante. Andiamo avanti.

Un’altra metrica rilevante è la differenza, rilevata su base settimanale, tra il numero di titoli che hanno registrato nuovi massimi e quelli che hanno realizzato nuovi minimi. Anche in questo caso siamo di fronte ad un internal del mercato. Come sottolineato in altre circostanze, la lunga persistenza di certi valori negativi nel tempo tende a favorire l’idea che la correzione non sia temporanea ma stia mutando in un downtrend. In questo senso, i dati che osserviamo oggi presentano una persistenza simile a quella osservata nel 2016 e 2018.

US New High – New Lows (1994 –2022)

Non possiamo sapere oggi se la correzione attuale si stia avvicinando a quanto visto nel 2016 o nel 2008, tuttavia una maggiore granularità della nostra osservazione può aiutarci ad avere una visione più nitida almeno del quadro attuale.

Riprendiamo l’indicatore precedente ma restringiamo lo sguardo al minimo di Marzo 2020, nei mesi compresi tra novembre 2019 e agosto 2020. Nel mese di marzo si osserva appunto una divergenza rialzista, ossia una condizione per cui l’indicatore si muoveva in una condizione di ipervenduto con minimi crescenti, mentre l’S&P500 registrava nuovi minimi di prezzo.

US New High – New Lows; S&P500 (novembre 2019 – agosto 2020)

Se riproduciamo la medesima osservazione nell’attuale mese di Maggio 2022 non osserviamo la medesima divergenza rialzista.

US New High – New Lows; S&P500 (ottobre 2021 – Maggio 2022)

Conclusione: non osservando le medesime condizioni di ipervenduto del Marzo 2020, possiamo ritenere l’attuale minimo meno significativo rispetto a quello che ha dato vita al rally degli ultimi 2 anni. Di conseguenza, non abbiamo alcuna evidenza che un rimbalzo significativo sia vicino.

Sul piano di quanto osserviamo direttamente nei prezzi, è evidente che le valutazioni sono scese, in molti casi significativamente, come in alcuni segmenti del comparto growth small cap, tornato sui livelli dell’Ottobre 2020.

iShares Russell 2000 Growth (2014 –2022)

Parimenti, anche il comparto value evidenzia segnali di cedimento, pur in un quadro di forza relativa maggiore rispetto a quello growth.

Vanguard Value ETF (marzo 2021 – maggio 2022)

Venendo alle conclusioni, la settimana passata abbiamo assistito al cedimento di livelli tecnici significativi su diversi indici azionari, in parte recuperati con la seduta di venerdì.

La caduta dei prezzi offre certamente delle opportunità ma dobbiamo sempre tenere almeno due elementi: in primis, non abbiamo ancora osservato una stabilizzazione del mercato del credito. Secondariamente, non conosciamo ancora la profondità di questa flessione: in assenza di indicazioni di esaurimento della pressione ribassista osservata nelle ultime settimane, ogni acquisto altro non è se non una preghiera personale rivolta ai mercati affinché tornino presto in uptrend. Questo mercato appare molto diverso da quello degli ultimi 24 mesi: che la sua flessione sia prossima ad esaurirsi non è lo scenario base di oggi e l’acquisto che oggi sembra un affare potrebbe non sembrare tale con il passare delle sedute.

The two biggest investing mistakes are panic buying and panic selling

Naval Ravikant

Disclaimer:

Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it). 

Chi siamo
Edoardo Fusco Femiano

Edoardo vanta oltre 15 anni di esperienza in materia di gestione quantitativa e fondamentale di portafoglio, trading e analisi quantitativa e gestione del rischio, maturata all'interno di primarie istituzioni finanziarie nazionali ed internazionali (eToro, IOR - Banca Vaticana, Capitalia Asset Management S.g.r., SACE Spa e Citigroup CIB). Presso lo IOR è stato membro del Comitato Finanza, con responsabilità per la ricerca azionaria. Negli ultimi anni è stato consulente per istituzioni finanziarie, pubbliche amministrazioni e società del mondo fintech. Dal Maggio 2018 a Settembre 2021 è stato Italy Partner e Global Market Analyst di eToro. Nell’Agosto 2021 fonda DLD Capital SCF Srl. Leggi altro

Condividi

Condizioni Economiche

Si. DLD Capital SCF offre il servizio di consulenza finanziaria per patrimoni di importo non inferiore ai 500.000€

Il valore della commissione viene calcolato in percentuale sul patrimonio oggetto della consulenza. Per patrimoni di dimensioni rilevanti la società si riserva di proporre un piano commissionale agevolato.

Il pagamento della commissione annuale di consulenza viene suddiviso in due rate semestrali ed è corrisposto anticipatamente.

In aggiunta alle comunicazioni previste per legge e ai regolari incontri con la clientela, DLD Capital pubblica un report settimanale in cui vengono analizzati, in chiave logico-statistica, i più recenti eventi economico-finanziari ed il loro impatto sui mercati finanziari.

Suggeriamo ai clienti di ritagliare un regolare spazio del loro tempo per la lettura del report settimanale: il documento è il risultato di un costante lavoro di analisi delle più recenti dinamiche osservate sui mercati. La disciplina sui mercati finanziari viene dalla fiducia e questa viene dalla costante analisi delle informazioni a nostra disposizione: un investitore informato ha una probabilità di successo decisamente maggiore rispetto a quella di uno meno consapevole.

Pianificazione Finanziaria

I criteri classici della consulenza finanziaria in Italia si basano sull’utilizzo di modelli di asset allocation di tipo statico, confezionati mediante l’offerta di un paniere di strumenti finanziari che vanno a configurare un portafoglio di base, il quale resta sostanzialmente lo stesso per un periodo di tempo indefinito.

In DLD riteniamo che l’asset allocation statica non sia sufficiente e che, a questa, sia necessario abbinare modelli di asset allocation dinamica: l’obiettivo è offrire l’opportunità di variare l’esposizione complessiva al rischio al variare delle condizioni di mercato, isolando gli specifici fattori di rischio delle asset class in portafoglio.

In aggiunta, riteniamo fondamentale disporre di specifici protocolli d’intervento a difesa del portafoglio, al verificarsi di specifiche condizioni di mercato. Ciò può comportare una temporanea sovraesposizione su strumenti finanziari tipicamente più difensivi ed una sottoesposizione alle asset class più rischiose.

Tutti i nostri modelli sono il risultato di rigorosa analisi quantitativa e si rifanno alla vasta letteratura esistente in materia di quantitative investing.

Il capitale investibile è frutto del lavoro e del risparmio accumulato nel corso degli anni e nessun investitore vuole trovarsi strategicamente impreparato di fronte alle flessioni dei prezzi che storicamente e ciclicamente si verificano sui mercati finanziari.

Utilizzare un approccio “compra e tieni” (c.d. buy and hold) ha senso solo se si riesce a restare investiti per il 100% della propria vita da investitore. Tuttavia, la storia dei mercati finanziari è costellata di periodi storici molto complessi: momenti in cui sarebbe stato molto difficile restare sereni semplicemente pensando che “nel lungo periodo i mercati si riprenderanno”.

Se guardiamo alle serie storiche, osserviamo come persino sull’S&P500, l’indice azionario americano che storicamente ha manifestato la maggior tendenza rialzista nel lungo periodo, si è assistito a correzioni molto profonde e che hanno prodotto notevoli riduzioni della ricchezza per quanti si fossero trovati pienamente investiti in quel momento.

Periodo (S&P500)

Drawdown*

Capitale iniziale ($)

Capitale finale ($)

10/2007 – 3/2009

-56.80%

1.000.000

432.000

3/2000 – 10/2002

-49.20%

1.000.000

508.000

12/1973 – 3/1974

-48.20%

1.000.000

518.000

2/1968 – 5/1970

-36.10%

1.000.000

639.000

2/2020 – 3/2020

-35.75%

1.000.000

642.000

8/1987 – 12/1987

-33.50%

1.000.000

665.000

12/1961 – 6/1962

-28.00%

1.000.000

720.000

1/1980 – 8/1982

-27.10%

1.000.000

729.000

*La tabella ha carattere informativo. Il nostro approccio mira a limitare, e non ad eliminare, gli effetti di una correzione ciclica sui portafogli. Sebbene il nostro approccio si basi sull’analisi quantitativa delle serie storiche, non esistono garanzie sui mercati finanziari.

*Massima correzione dai massimi

 

Diversamente dall’approccio “compra e tieni”, l’applicazione di logiche quantitative, o Rules-Based, alle scelte di d’investimento, consente di disporre costantemente di strategie di mitigazione del rischio, da attuare al variare delle condizioni di mercato.

L’obiettivo non è conseguire rendimenti superiori agli indici di riferimento ma bensì contenere il rischio, non essere mai strategicamente impreparati di fronte alle fase di correzione e vivere più serenamente ogni fase di mercato.

“Investire nel lungo periodo è una buona idea se sei grande quanto una sequoia, una tartaruga gigante o una fondazione molto capitalizzata, ma gli individui non hanno un orizzonte di venti anni per riprendersi dalle grandi flessioni dei mercati”

(The Ivy Portfolio: How to invest like the top endowments and avoid bear markets di Mebane T. Faber e Eric W. Richardson)

La diversificazione è il primo strumento di mitigazione del rischio per l’investitore. Tuttavia, è storicamente provato come, oltre una certa soglia di strumenti in portafoglio, l’effetto complessivo di mitigazione del rischio diventa marginale.

L’inclusione di ulteriori strumenti finanziari in portafoglio, in assenza di comprovata verifica della capacità degli stessi di migliorare il profilo di rischio dello stesso, è non solo inutile ma potenzialmente incredibilmente dannosa, se inserita in una logica di portafoglio c.d. “compra e tieni”.

Se escludiamo gli strumenti che storicamente presentano il maggior “bias” rialzista, come ad esempio alcuni indici azionari globali, la gran parte degli strumenti finanziari non hanno la tendenza a salire nel lungo periodo. Basti osservare la performance dell’indice italiano FTSE MIB nel periodo 2004 – 2021:

Di fronte ad una flessione come quella della recessione 2008 – 2009 non avrebbe avuto alcun senso attendere una ripresa dell’indice: una ripresa che non si è mai verificata e che avrebbe lasciato l’investitore con una perdita durevole di valore ed un capitale che negli anni successivi non ha generato alcun rendimento. Le medesime considerazioni si possono estendere ad una larga serie di strumenti come azioni, obbligazioni e materie prime.

Persino l’indice S&P500, nonostante la sua storicamente comprovata forza rialzista, in diversi periodi storici è andato incontro a correzioni significative, impiegando anni a tornare sui livelli pre-correzione. Il grafico sottostante è l’S&P500 nel periodo 2000 – 2013. Qualora un investitore avesse allocato il suo capitale sull’indice americano nel Marzo del 2000, avrebbe avuto la possibilità di recuperare pienamente il suo capitale dopo otto anni, salvo poi andare incontro ad un’altra correzione e recuperarlo definitivamente ad Aprile del 2013. Tredici anni per recuperare il proprio capitale iniziale e nessun rendimento.

L’alternativa? Investire in quelle logiche di asset allocation, sia statica che dinamica, che negli anni hanno dimostrato di performare al meglio, includere in portafoglio solo gli strumenti che alla prova dei fatti migliorano il profilo di rischio complessivo del portafoglio, riducendone la volatilità, ed isolare i singoli fattori di rischio del portafoglio, gestendone i riflessi nelle diverse fasi di mercato.

I risultati straordinari naturalmente attraggono attenzione, ma gli osservatori più attenti sanno che il vero segreto del grande successo finanziario della fondazione di Harvard si chiama difesa, difesa e ancora difesa. Ma come, potreste chiedervi, può la sola difesa essere così centrale nel raggiungimento di risultati finanziari così straordinariamente positivi? Partendo dalla storica verità sul successo nel campo della finanza, ossia che quando semplicemente eliminiamo le perdite più rilevanti i risultati vengono da soli, dobbiamo sempre tenere a mente l’importanza dello stare lontano dai guai.

(Charles Ellis, Presidente del Comitato Investimenti, Università di Harvard)

No. Trading ed investing sono due attività profondamente diverse: entrambe utilizzano l’analisi quantitativa come primo strumento di analisi ed approfondimento ma le logiche operative, di costruzione e di gestione dei portafogli sono del tutto diverse. Sfruttare logiche dinamiche di costruzione di portafoglio non implica in alcun modo entrare ed uscire costantemente dal mercato.

Generare rendimenti significativi in mercati rialzisti senza avere una strategia per gestire mercati ribassisti è il più grave degli errori e può portare a distruggere in pochi mesi quanto guadagnato nel corso degli anni.

L’effetto dell’interesse composto (c.d. compounding) è un principio matematico che funziona tanto nella crescita del capitale quanto nella sua erosione.

Supponiamo di avere due portafogli: il primo opera secondo un logica “compra e tieni”, mentre il secondo unisce ad un asset allocation statica una serie di protocolli di asset allocation dinamica, al fine di gestire con buona flessibilità le diverse fasi di mercato:

 

Portafoglio 1*

 

 

Anno

Capitale iniziale ($)

Rendimento

Capitale finale ($)

1

200.000

20.00%

240.000

2

240.000

15.00%

276.000

3

276.000

15.00%

317.400

4

317.400

20.00%

380.880

5

380.880

-35.00%

247.572

*Scenario ipotetico a scopo illustrativo

 

Portafoglio 2*

 

 

Anno

Capitale iniziale ($)

Rendimento

Capitale finale ($)

1

200.000

10.00%

220.000

2

220.000

7.50%

236.500

3

236.500

7.50%

254.238

4

254.238

10.00%

279.661

5

279.661

-5.00%

265.678

*Scenario ipotetico a scopo illustrativo

Possiamo osservare che il portafoglio 1 ha realizzato una performance doppia rispetto a quella del portafoglio 2 per quattro anni consecutivi. Nel quinto, tuttavia, la gestione attiva del rischio ha consentito al portafoglio 2 di difendersi meglio e ridurre la perdita complessiva, al contrario di quanto avvenuto per il portafoglio 1, che è impostato in una logica di asset allocation statica. Al termine del quinto anno, il portafoglio 2 avrà non solo sperimentato una minor volatilità complessiva nell’arco dei cinque anni ma avrà anche conseguito un risultato superiore in termini di rendimento assoluto.

Troppo spesso ci si dimentica che il principio dell’interesse composto è un arma a doppio taglio: può operare tanto a nostro favore nelle fasi di rialzo quanto a nostro sfavore in quelle di ribasso. 

Questo semplice esempio spiega perché conseguire una performance superiore al benchmark è un obiettivo poco rilevante per l’investitore mentre, ai fini della costruzione e preservazione del capitale, ben altra rilevanza assume avere una strategia di contenimento delle fasi di correzione.

Il nostro cliente tipicamente dispone di un buon capitale accumulato negli anni ed è interessato a proteggerlo dai momenti di inevitabile fragilità dei mercati finanziari, pur volendo partecipare alle lunghe fasi di rialzo che storicamente si osservano sugli stessi.

In aggiunta, egli riconosce l’importanza di avere una corretta impostazione d’investimento per il proprio patrimonio e, al contempo, di disporre sempre di uno o più linee d’intervento sul suo portafoglio in presenza di un mutato scenario di mercato: una opportunità che un sistema di private banking centrato su modelli di asset allocation statica non può offrire.

In linea con quanto previsto dalla legge, il cliente viene classificato rispetto al suo profilo di rischio, al fine di valutare l’adeguatezza delle soluzioni d’investimento proposte.

Una volta definito il quadro di asset allocation strategica rispetto al quale viene costruito il portafoglio, il cliente viene informato di quelle che potrebbero essere le principali soluzioni di aggiustamento tattiche che potrebbero essere proposte, al variare delle condizioni di mercato.

In ogni caso, qualsiasi proposta di cambiamento dell’asset allocation avviene nella logica di ridurre il rischio del portafoglio, o di riportarlo alla sua condizione iniziale. Ogni proposta è quindi sempre in linea con la propensione al rischio del cliente stesso, sulla base delle informazioni rilevanti ricevute dalla società all’inizio dell’instaurazione del rapporto.

Il cliente viene ovviamente messo nella condizione di selezionare strumenti finanziari nell’ambito di un universo d’investimento molto ampio.

Nell’ambito di quest’offerta viene operata una distinzione tra strumenti che storicamente sono fonti di redditività (c.d. growth-oriented assets) e strumenti difensivi (c.d. conservative assets). I primi diversificano sul comparto azionario, per settori e aree geografiche, sulle materie prime, sia singole che su basket delle stesse, e su ETF obbligazionari corporate. Diversamente, gli strumenti difensivi includono ETF obbligazionari governativi, metalli preziosi, strumenti di mercato monetario e liquidità.

Storicamente, abbiamo anche osservato fasi di mercato in cui strumenti rischiosi (azioni) e strumenti difensivi (obbligazioni governative) si sono mossi in maniera fortemente correlata: per questo la definizione di due grandi famiglie di strumenti finanziari, rischiosi e difensivi, consente di avere sempre delle opzioni a seconda delle fasi di mercato, indipendentemente da singoli, magari temporanei, aumenti di correlazione tra singoli strumenti.

Al di là della retorica su quanto sia necessario avere la giusta mentalità per investire sui mercati finanziari, è indubbio che un certo grado di forza mentale sia necessario per vivere serenamente le diverse fasi sui mercati.

Lo studio e la ricerca sugli strumenti finanziari e sulle logiche operative di gestione del capitale sono la base imprescindibile da cui partire ma la disciplina è il terzo pilastro senza il quale nessun piano d’investimento può funzionare.

La disciplina è fondamentale non solo nelle fasi complesse di mercato ma anche in quelle molto costruttive. L’illusione del controllo o l’avidità possono spingerci a ridurre la diversificazione di portafoglio o, ad esempio, a saltare un ribilanciamento di portafoglio: “in fondo, questa posizione (titolo, ETF o qualsiasi altro strumento) sta andando così bene, perché devo vendere? Perché non investire ancora un po’?”

L’analisi quantitativa serve a rimuove larga parte della discrezionalità delle nostre scelte, ricordandoci l’importanza di un approccio strutturato alla gestione del capitale, ma solo l’esercizio della disciplina fa di noi degli investitori razionali e di successo.

DLD Capital mette a disposizione del cliente una vasta selezione di strumenti finanziari sulla base di logiche che ne valutino soprattutto l’opportunità in termini di costo, performance storica, volatilità e grado di correlazione con i mercati di riferimento: certamente consideriamo singoli titoli, azionari o obbligazionari, e fondi comuni d’investimento. Tuttavia, è indiscutibile che gli ETF negli anni siano diventati nel tempo uno strumento la cui flessibilità operativa è seconda solo a quella dei futures.

In aggiunta, gli ETF offrono un vantaggio notevole sul piano della diversificazione, in particolare con riferimento agli investimenti sul settore dei titoli a bassa capitalizzazione (small caps) e su quello dei titoli obbligazionari speculativi (high yield).

Sul primo fronte, i titoli a bassa capitalizzazione possono contenere un forte rischio specifico ed un errata valutazione del titolo sul piano fondamentale può portare perdite significative e difficilmente recuperabili. Lo stesso titoli inserito in un ETF avrebbe un impatto decisamente più limitato sul portafoglio. Sul secondo, il vantaggio dell’ETF è ancor più significativo: i titoli obbligazionari speculativi possono andare incontro a forti crisi sul piano della liquidità e a perdite di valore tra l’80% ed il 100%, nel caso di fallimento della società. Persino un evento estremo di questa dimensione diventa molto gestibile nel complesso di uno strumento altamente diversificato come un ETF.

Un portafoglio viene sempre costruito in funzione della propensione al rischio del singolo cliente, in linea con quanto previsto dalla normativa Mifid, che prevede una verifica di adeguatezze delle soluzioni d’investimento proposte. Il nostro modello di asset allocation è strutturato propriamente per poter riflettere in maniera più dinamica e granulare la propensione al rischio dell’investitore, in particolare mediante la quantificazione di parametri che possono essere definiti, ed eventualmente aggiornati, in relazione alla propensione al rischio del cliente.

La grande maggioranza dei modelli di robo-advisory sono strutturati nella forma di una replica di modelli di asset allocation statica, con operazioni di ribilanciamento delle posizioni che avvengono ad intervalli regolari, indipendentemente dalle fasi di mercato.

Al contrario il nostro modello di consulenza, in primis, è strutturato in modo da potere cogliere con maggior grado di dettaglio le necessità del cliente. Secondariamente, i nostri modelli prevedono l’adozione di specifiche modalità di intervento di mitigazione del rischio di portafoglio al mutare delle condizioni di mercato.

Nell’esempio sottostante si può osservare il confronto tra un portafoglio di ETF obbligazionari, costruito con una logica rotazionale che ottimizza i pesi dei singoli ETF in relazione alla volatilità degli ultimi tre mesi, ed il suo benchmark, un ETF obbligazionario governativo con duration compresa tra 15 e 30 anni. Su un orizzonte di circa 14 anni (2007 – 2021) possiamo osservare come portafoglio sovraperformi per un lungo periodo il benchmark ma, soprattutto, presenti una volatilità nettamente inferiore: nello specifico la deviazione standard del portafoglio sul periodo considerato è pari al 3.9% annuo, mentre quella del benchmark è pari al 9.8%. In termini di remunerazione del rischio, il portafoglio batte il benchmark sotto tutte le metriche di riferimento (maximum drawdown, Sharpe Ratio, deviazione standard e rapporto tra profitto e maximum drawdown).

Una miglior remunerazione del rischio assunto si traduce in due vantaggi immediati: in primis, in una minor oscillazione del portafoglio a parità di rendimento e, secondariamente, una limitazione del rischio di effettuare riscatti dalla posizione in momenti in cui la stessa è in forte sofferenza. In questo senso, il confronto grafico è molto chiaro.

*Scenario ipotetico a scopo illustrativo. Capitale iniziale: $1.000.000. Questo backtest non considera l’impatto dei costi di transazione. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.

Consulenza finanziaria integrata

Le Società di Consulenza Finanziaria, o SCF, sono società autorizzate a svolgere la consulenza in materia di investimenti senza detenere fondi o titoli, i quali restano nella esclusiva disponibilità dei clienti. Possono assumere la forma giuridica di società per azioni (S.p.A.) o di società a responsabilità limitata (S.r.l.).

Il presupposto della loro attività è la regolare iscrizione all’albo dell’Organismo di Vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari (OCF), in presenza di specifici requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e di precisi requisiti patrimoniali.

La società di consulenza finanziaria viene remunerata esclusivamente dai clienti per conto dei quali svolge la consulenza in oggetto e gli è espressamente preclusa qualsiasi forma di beneficio e/o onorario da un soggetto diverso dal cliente (c.d. modello a “parcella”)

In misura maggiore rispetto a quanto si osserva in altri paesi europei, gli investitori italiani sono penalizzati da un’industria del risparmio gestito ancora fortemente concentrata nell’offerta di prodotti c.d. a “gestione attiva”. Questi prodotti presentano un profilo di costi decisamente significativo, come evidenziato dal report della European Securities and Market Authority (ESMA) nel 2020: Performance and Costs of Retail Investment Products in the EU.

Il report evidenzia il maggior costo applicato sugli investitori al dettaglio rispetto a quelli istituzionali per i prodotti azionari ed obbligazionari:

Parimenti l’analisi evidenzia l’incapacità di questi prodotti di giustificare i costi con le performance generate:

Concentrandosi sulla distribuzione e la dispersione dei costi, indipendentemente dal tipo di gestione, questi non corrispondono a performance più elevate, ossia non si osserva alcuna correlazione tra costi del fondo e la sua performance. Per i fondi azionari attivi, i costi sono stati in media tra l’1% e il 3%, indipendentemente dalla performance annua lorda”.

Sul piano geografico, il report evidenzia inoltre come l’Italia sia uno dei paesi meno competitivi sul piano dei costi:

Indicativamente, tra le giurisdizioni sono osservabili differenze in termini di livelli di costo per lo stesso tipo di canale distributivo. Ad esempio, concentrandosi sui fondi azionari, i distributori bancari addebitano costi più elevati in Italia e Grecia, rispetto a Finlandia, Malta o Slovacchia…. In media in Italia i costi sembrano essere più alti nel confronto con gli altri dodici paesi per i quali sono disponibili i dati”.

Lo stessa ricerca evidenzia la costante crescita degli ETF, ossia di prodotti ad indicizzazione passiva, i cui costi si aggirano intorno allo 0.1% – 0.3% annuo.

Gli ETF sono strumenti che replicano passivamente l’andamento di uno strumento finanziario e, oltre a presentare un profilo di costi di circa l’80-90%% inferiore rispetto ai prodotti attivi, consentono una flessibilità operativa all’investitore impensabile con molti prodotti attivi.

In conclusione, al netto della parcella da riconoscere alla SCF, il ricorso ad una serie di prodotti più efficienti, che comprende ma non si limita agli ETF, consente al risparmiatore di conseguire da subito risparmi netti molto significativi in termini di costo di gestione del portafoglio.