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Fino a prova contraria

Sul piano puramente intuitivo i mercati finanziari restituiscono quasi sempre la sensazione, tanto agli osservatori quanto agli specialisti, che il tempo, oltre ai prezzi e alle quantità degli strumenti finanziari, sia una risorsa strutturalmente scarsa. La necessità di operare e decidere rapidamente sembra essere quasi un tutt’uno con questo lavoro: riflettendoci, non esiste niente di più errato. Il tempo è forse la risorsa più abbondante e contemporaneamente più sottovalutata di cui dispone un investitore: non solo perché è la variabile imprescindibile allo sviluppo di qualsiasi logica o scelta d’investimento ma anche perché, nelle fasi di ribasso, ci fornisce un ampio numero di indicazioni sulle quali riflettere e grazie alle quali assumere scelte attive di gestione del capitale.

Nei fatti, il tempo che passa nel corso di una fase di correzione ci aiuta a cogliere, con sempre maggior precisione, il quadro dinamico che si delinea di fronte a noi. Ad esempio, la prima correzione di gennaio si è accompagnata ad un’escursione del Vix vicino a quota 40, facendoci comprendere come il quadro di fondo fosse cambiato rispetto alla fine del 2021. Nei mesi successivi abbiamo assistito ad evidenti segnali di ipervenduto di breve di periodo, che si sono accompagnati a significativi acquisti, come era giusto attendersi. Tuttavia, con il passare del tempo i segnali di fragilità del quadro generale sono andati rafforzandosi e, con questi, la consapevolezza che i segnali di ipervenduto avrebbero perso di valore segnaletico: in altri termini, non tutte le correzioni sono rapide come quella del marzo 2020.

Oggi il termine maggiormente impiegato per descrivere quanto osserviamo sui mercati è “bear market rally”, ossia la dinamica di un mercato in downtrend che naturalmente si caratterizza per la presenza di fasi di controtrend rialziste. D’altronde, nell’ultimo mese quest’espressione è salita notevolmente come numero di ricerche su Google negli Stati Uniti, come evidenzia anche Google Trend.

Fonte: Google Trend

Parimenti, è interessante notare che un primo rialzo nel numero di ricerche di quest’espressione si fosse già osservato dalla fine di febbraio alla fine di marzo. Il fatto che l’S&P500 in quel lasso temporale si sia mosso in forte rialzo evidenzia che, prima ancora che molti analisti, il sottoscritto in primis, ipotizzassero questo cambio di regime, questa ipotesi era già nella testa di molti.

S&P500 Index (maggio 2021 – giugno 2022)

Certamente, il tempo che passa rafforza l’idea che la struttura dei prezzi che osserviamo stia mutando in questa direzione ed evocare l’ipotesi di “bear market rallies” ci riporta naturalmente alle due grandi correzioni osservate negli ultimi ventidue anni sui mercati azionari, ossia il biennio 2000 – 2002 e quello 2007 – 2009.

Qual è stata la dimensione media dei rally da “bear market” in queste due circostanze? Sotto osserviamo dimensione e durata dei singoli rialzi osservati su base settimanale sul Dax nei due bienni presi in considerazione.

German Dax, Fonte: DLD Capital SCF

Di seguito procediamo alla medesima rilevazione sull’S&P500.

S&P500 Index, Fonte: DLD Capital SCF

Sul piano statistico è interessante notare come, per i singoli strumenti, il livello medio delle oscillazioni non sia molto diverso nei due bienni considerati. Parimenti, i numeri ci restituiscono un’idea molto chiara di quanto lungo possa essere un bear market e di quanto frequentemente si possano osservare prolungate e significative fasi di rialzo a cui fanno seguito ribassi di dimensione pari se non superiore.

Come fronteggiare tutto ciò? In DLD Capital in queste fasi ci affidiamo a modelli proprietari di c.d. “scoring”, ossia di modelli che raccolgono e pesano dati differenti, con l’obiettivo di sintetizzare in chiave probabilistica le diverse evoluzioni dei prezzi e dei loro determinanti.

Se siamo in un bear market, da cui aspettarci movimenti rialzisti di controtrend, lo osserveremo nelle prossime settimane. Nel frattempo, restiamo in un contesto di mercato statisticamente eccezionale, con i mercati azionari e obbligazionari che scambiano in territorio fortemente negativo da inizio anno.

Performance YTD (SPY, QQQ, DIA, AGG)

In un simile contesto, quali opportunità possiamo osservare sui principali indici azionari globali? Non molte in verità. Se osserviamo la struttura dei volumi in relazione ai prezzi sull’S&P500, osserviamo come da questi livelli una prima resistenza a rialzo sarebbe in area 4.570 punti, il che implicherebbe un rialzo di circa l’11% da questi livelli. Tuttavia, se guardiamo al downside potenziale, osserviamo come i primi volumi su cui l’indice potrebbe trovare un supporto sono in area 3.380 punti, pari a circa un -17,5% dai livelli attuali.

S&P500 Index (aprile 2017 – maggio 2022)

Un quadro ancor più complesso si osserva sul Nasdaq 100, dove il rapporto tra rendimento e rischio, in relazione ai volumi per le singole zone di prezzo, è ancor meno interessante.

Nasdaq 100 Index (aprile 2017 – maggio 2022)

È giusto specificare che i livelli identificati non rappresentano delle zone di target di prezzo: tuttavia, è importante restare realisti rispetto al quadro attuale e, soprattutto, accettare che nel prossimo futuro gli indici potrebbero tornare a muoversi con forte direzionalità, al rialzo come al ribasso, o diversamente, muoversi tra aree di prezzo non particolarmente significative o interessanti per gli investitori.

Se, sul piano generale, il tema principale resta l’identificazione del trend di fondo del mercato azionario, è altresì fondamentale approfondire alcune dinamiche che osserviamo al livello settoriale, per le conseguenze che queste potrebbero avere sugli indici azionari stessi. Come ben sanno gli investitori, l’unico settore che da inizio anno sta performando positivamente, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, è quello energetico, mentre quello che ha sperimentato la correzione maggiore è quello tecnologico. Partiamo da quest’ultimo.

Una dimensione del livello di ipercomprato ed ipervenduto è la sua distanza da alcuni livelli chiave. Tipicamente la media mobile a 200 giorni è un livello storicamente tenuto in grande considerazione da tutti gli investitori. Dal grafico sottostante possiamo osservare come, a gennaio 2022, il Nasdaq 100 scambiasse intorno ad un +40,47% rispetto alla sua media mobile a 200 giorni, il livello più alto dall’anno 2000 (+67,8%). Solo una discesa dell’indice di un ulteriore 14,79% riporterebbe l’indice intorno alla sua media di riferimento.

Nasdaq 100 Index (1998 –2022)

Se scegliamo di sostituire il Nasdaq100 con l’ETF tecnologico XLK il quadro di fondo non cambia significativamente.

Technology Select Sector SPDR Fund (2000 –2022)

Se passiamo al settore energetico, osserviamo un quadro capovolto rispetto a quello appena osservato. Ad oggi il settore scambia intorno ad un +45,45% rispetto alla sua media mobile a 200 giorni, massimo dalla fine del 2008. Questo contesto è ancor più estremo se pensiamo che a marzo 2020 il settore scambiava con uno sconto del 53,24% rispetto alla sua media di riferimento.

Energy Select Sector SPDR Fund (2000 –2022)

È certamente difficile trarre delle conclusioni da questo tipo di rappresentazione ma alcune indicazioni possiamo estrarle. In primo luogo, il settore tecnologico sta riallineando la sua performance a quella della sua media storica ma, a rigor di logica, il suo percorso di ritorno alla media potrebbe non essere concluso. Diversamente, il settore energetico scambia su livelli estremi rispetto alla sua media ed un suo riallineamento in questo senso non sarebbe una sorpresa.

Chiarito quindi che il settore tecnologico potrebbe non aver esaurito la sua discesa e che quello energetico, per logica di cose, potrebbe iniziarla, ha senso ovviamente domandarsi che cosa accadrebbe sugli indici azionari in caso di una correzione anche dell’unico settore che sta ben performando da inizio anno. L’analisi della correlazione tra il WTI e l’S&P500 potrebbe darci maggiori delucidazioni in questo senso. Purtroppo, alla verifica degli ultimi 22 anni, non abbiamo una risposta univoca: nel 2002-2003 e nel 2007- 2008 una inversione della correlazione, da positiva a negativa, tra WTI ed S&P500 si è verificata in corrispondenza di due importanti ribassi, rispettivamente del 30,65% e del 43,92%. Diversamente, la medesima inversione di correlazione, verificatasi dal 2012 al 2016, è coincisa con un rialzo dell’indice pari a circa il 70,41%.

S&P500, Correlazione mensile S&P500 – WTI (1998-2022)

Da inizio anno la correlazione positiva tra WTI ed S&P500 si è andata affievolendo: statisticamente non sembra un buon viatico per i mercati azionari ma, come abbiamo appena verificato, non c’è un’evidenza statistica sufficientemente coerente per supportare tanto l’idea di un’estensione della correzione quanto quella di un suo arresto.

In conclusione, viviamo in una fase in cui il passare del tempo ci è alleato, fondamentalmente in ragione della sua capacità fornirci maggiori informazioni circa quanto possiamo attenderci nei prossimi mesi sui mercati finanziari. Ottimismo e pessimismo non sono le categorie secondo le quali declinare le nostre scelte future: al contrario, l’evidenza dei fatti è il nostro miglior alleato, a condizione che noi per primi accettiamo che sia lei l’unica a parlare. Ad oggi operiamo in un bear market e le nostre scelte di capital ed asset allocation devono rispettare questo stato di cose: ovviamente fino a prova contraria.

Giudica un uomo dalle sue domande piuttosto che dalle sue risposte

Voltaire

Disclaimer:

Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it). 

Chi siamo
Edoardo Fusco Femiano

Edoardo vanta oltre 15 anni di esperienza in materia di gestione quantitativa e fondamentale di portafoglio, trading e analisi quantitativa e gestione del rischio, maturata all'interno di primarie istituzioni finanziarie nazionali ed internazionali (eToro, IOR - Banca Vaticana, Capitalia Asset Management S.g.r., SACE Spa e Citigroup CIB). Presso lo IOR è stato membro del Comitato Finanza, con responsabilità per la ricerca azionaria. Negli ultimi anni è stato consulente per istituzioni finanziarie, pubbliche amministrazioni e società del mondo fintech. Dal Maggio 2018 a Settembre 2021 è stato Italy Partner e Global Market Analyst di eToro. Nell’Agosto 2021 fonda DLD Capital SCF Srl. Leggi altro

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Condizioni Economiche

Si. DLD Capital SCF offre il servizio di consulenza finanziaria per patrimoni di importo non inferiore ai 500.000€

Il valore della commissione viene calcolato in percentuale sul patrimonio oggetto della consulenza. Per patrimoni di dimensioni rilevanti la società si riserva di proporre un piano commissionale agevolato.

Il pagamento della commissione annuale di consulenza viene suddiviso in due rate semestrali ed è corrisposto anticipatamente.

In aggiunta alle comunicazioni previste per legge e ai regolari incontri con la clientela, DLD Capital pubblica un report settimanale in cui vengono analizzati, in chiave logico-statistica, i più recenti eventi economico-finanziari ed il loro impatto sui mercati finanziari.

Suggeriamo ai clienti di ritagliare un regolare spazio del loro tempo per la lettura del report settimanale: il documento è il risultato di un costante lavoro di analisi delle più recenti dinamiche osservate sui mercati. La disciplina sui mercati finanziari viene dalla fiducia e questa viene dalla costante analisi delle informazioni a nostra disposizione: un investitore informato ha una probabilità di successo decisamente maggiore rispetto a quella di uno meno consapevole.

Pianificazione Finanziaria

I criteri classici della consulenza finanziaria in Italia si basano sull’utilizzo di modelli di asset allocation di tipo statico, confezionati mediante l’offerta di un paniere di strumenti finanziari che vanno a configurare un portafoglio di base, il quale resta sostanzialmente lo stesso per un periodo di tempo indefinito.

In DLD riteniamo che l’asset allocation statica non sia sufficiente e che, a questa, sia necessario abbinare modelli di asset allocation dinamica: l’obiettivo è offrire l’opportunità di variare l’esposizione complessiva al rischio al variare delle condizioni di mercato, isolando gli specifici fattori di rischio delle asset class in portafoglio.

In aggiunta, riteniamo fondamentale disporre di specifici protocolli d’intervento a difesa del portafoglio, al verificarsi di specifiche condizioni di mercato. Ciò può comportare una temporanea sovraesposizione su strumenti finanziari tipicamente più difensivi ed una sottoesposizione alle asset class più rischiose.

Tutti i nostri modelli sono il risultato di rigorosa analisi quantitativa e si rifanno alla vasta letteratura esistente in materia di quantitative investing.

Il capitale investibile è frutto del lavoro e del risparmio accumulato nel corso degli anni e nessun investitore vuole trovarsi strategicamente impreparato di fronte alle flessioni dei prezzi che storicamente e ciclicamente si verificano sui mercati finanziari.

Utilizzare un approccio “compra e tieni” (c.d. buy and hold) ha senso solo se si riesce a restare investiti per il 100% della propria vita da investitore. Tuttavia, la storia dei mercati finanziari è costellata di periodi storici molto complessi: momenti in cui sarebbe stato molto difficile restare sereni semplicemente pensando che “nel lungo periodo i mercati si riprenderanno”.

Se guardiamo alle serie storiche, osserviamo come persino sull’S&P500, l’indice azionario americano che storicamente ha manifestato la maggior tendenza rialzista nel lungo periodo, si è assistito a correzioni molto profonde e che hanno prodotto notevoli riduzioni della ricchezza per quanti si fossero trovati pienamente investiti in quel momento.

Periodo (S&P500)

Drawdown*

Capitale iniziale ($)

Capitale finale ($)

10/2007 – 3/2009

-56.80%

1.000.000

432.000

3/2000 – 10/2002

-49.20%

1.000.000

508.000

12/1973 – 3/1974

-48.20%

1.000.000

518.000

2/1968 – 5/1970

-36.10%

1.000.000

639.000

2/2020 – 3/2020

-35.75%

1.000.000

642.000

8/1987 – 12/1987

-33.50%

1.000.000

665.000

12/1961 – 6/1962

-28.00%

1.000.000

720.000

1/1980 – 8/1982

-27.10%

1.000.000

729.000

*La tabella ha carattere informativo. Il nostro approccio mira a limitare, e non ad eliminare, gli effetti di una correzione ciclica sui portafogli. Sebbene il nostro approccio si basi sull’analisi quantitativa delle serie storiche, non esistono garanzie sui mercati finanziari.

*Massima correzione dai massimi

 

Diversamente dall’approccio “compra e tieni”, l’applicazione di logiche quantitative, o Rules-Based, alle scelte di d’investimento, consente di disporre costantemente di strategie di mitigazione del rischio, da attuare al variare delle condizioni di mercato.

L’obiettivo non è conseguire rendimenti superiori agli indici di riferimento ma bensì contenere il rischio, non essere mai strategicamente impreparati di fronte alle fase di correzione e vivere più serenamente ogni fase di mercato.

“Investire nel lungo periodo è una buona idea se sei grande quanto una sequoia, una tartaruga gigante o una fondazione molto capitalizzata, ma gli individui non hanno un orizzonte di venti anni per riprendersi dalle grandi flessioni dei mercati”

(The Ivy Portfolio: How to invest like the top endowments and avoid bear markets di Mebane T. Faber e Eric W. Richardson)

La diversificazione è il primo strumento di mitigazione del rischio per l’investitore. Tuttavia, è storicamente provato come, oltre una certa soglia di strumenti in portafoglio, l’effetto complessivo di mitigazione del rischio diventa marginale.

L’inclusione di ulteriori strumenti finanziari in portafoglio, in assenza di comprovata verifica della capacità degli stessi di migliorare il profilo di rischio dello stesso, è non solo inutile ma potenzialmente incredibilmente dannosa, se inserita in una logica di portafoglio c.d. “compra e tieni”.

Se escludiamo gli strumenti che storicamente presentano il maggior “bias” rialzista, come ad esempio alcuni indici azionari globali, la gran parte degli strumenti finanziari non hanno la tendenza a salire nel lungo periodo. Basti osservare la performance dell’indice italiano FTSE MIB nel periodo 2004 – 2021:

Di fronte ad una flessione come quella della recessione 2008 – 2009 non avrebbe avuto alcun senso attendere una ripresa dell’indice: una ripresa che non si è mai verificata e che avrebbe lasciato l’investitore con una perdita durevole di valore ed un capitale che negli anni successivi non ha generato alcun rendimento. Le medesime considerazioni si possono estendere ad una larga serie di strumenti come azioni, obbligazioni e materie prime.

Persino l’indice S&P500, nonostante la sua storicamente comprovata forza rialzista, in diversi periodi storici è andato incontro a correzioni significative, impiegando anni a tornare sui livelli pre-correzione. Il grafico sottostante è l’S&P500 nel periodo 2000 – 2013. Qualora un investitore avesse allocato il suo capitale sull’indice americano nel Marzo del 2000, avrebbe avuto la possibilità di recuperare pienamente il suo capitale dopo otto anni, salvo poi andare incontro ad un’altra correzione e recuperarlo definitivamente ad Aprile del 2013. Tredici anni per recuperare il proprio capitale iniziale e nessun rendimento.

L’alternativa? Investire in quelle logiche di asset allocation, sia statica che dinamica, che negli anni hanno dimostrato di performare al meglio, includere in portafoglio solo gli strumenti che alla prova dei fatti migliorano il profilo di rischio complessivo del portafoglio, riducendone la volatilità, ed isolare i singoli fattori di rischio del portafoglio, gestendone i riflessi nelle diverse fasi di mercato.

I risultati straordinari naturalmente attraggono attenzione, ma gli osservatori più attenti sanno che il vero segreto del grande successo finanziario della fondazione di Harvard si chiama difesa, difesa e ancora difesa. Ma come, potreste chiedervi, può la sola difesa essere così centrale nel raggiungimento di risultati finanziari così straordinariamente positivi? Partendo dalla storica verità sul successo nel campo della finanza, ossia che quando semplicemente eliminiamo le perdite più rilevanti i risultati vengono da soli, dobbiamo sempre tenere a mente l’importanza dello stare lontano dai guai.

(Charles Ellis, Presidente del Comitato Investimenti, Università di Harvard)

No. Trading ed investing sono due attività profondamente diverse: entrambe utilizzano l’analisi quantitativa come primo strumento di analisi ed approfondimento ma le logiche operative, di costruzione e di gestione dei portafogli sono del tutto diverse. Sfruttare logiche dinamiche di costruzione di portafoglio non implica in alcun modo entrare ed uscire costantemente dal mercato.

Generare rendimenti significativi in mercati rialzisti senza avere una strategia per gestire mercati ribassisti è il più grave degli errori e può portare a distruggere in pochi mesi quanto guadagnato nel corso degli anni.

L’effetto dell’interesse composto (c.d. compounding) è un principio matematico che funziona tanto nella crescita del capitale quanto nella sua erosione.

Supponiamo di avere due portafogli: il primo opera secondo un logica “compra e tieni”, mentre il secondo unisce ad un asset allocation statica una serie di protocolli di asset allocation dinamica, al fine di gestire con buona flessibilità le diverse fasi di mercato:

 

Portafoglio 1*

 

 

Anno

Capitale iniziale ($)

Rendimento

Capitale finale ($)

1

200.000

20.00%

240.000

2

240.000

15.00%

276.000

3

276.000

15.00%

317.400

4

317.400

20.00%

380.880

5

380.880

-35.00%

247.572

*Scenario ipotetico a scopo illustrativo

 

Portafoglio 2*

 

 

Anno

Capitale iniziale ($)

Rendimento

Capitale finale ($)

1

200.000

10.00%

220.000

2

220.000

7.50%

236.500

3

236.500

7.50%

254.238

4

254.238

10.00%

279.661

5

279.661

-5.00%

265.678

*Scenario ipotetico a scopo illustrativo

Possiamo osservare che il portafoglio 1 ha realizzato una performance doppia rispetto a quella del portafoglio 2 per quattro anni consecutivi. Nel quinto, tuttavia, la gestione attiva del rischio ha consentito al portafoglio 2 di difendersi meglio e ridurre la perdita complessiva, al contrario di quanto avvenuto per il portafoglio 1, che è impostato in una logica di asset allocation statica. Al termine del quinto anno, il portafoglio 2 avrà non solo sperimentato una minor volatilità complessiva nell’arco dei cinque anni ma avrà anche conseguito un risultato superiore in termini di rendimento assoluto.

Troppo spesso ci si dimentica che il principio dell’interesse composto è un arma a doppio taglio: può operare tanto a nostro favore nelle fasi di rialzo quanto a nostro sfavore in quelle di ribasso. 

Questo semplice esempio spiega perché conseguire una performance superiore al benchmark è un obiettivo poco rilevante per l’investitore mentre, ai fini della costruzione e preservazione del capitale, ben altra rilevanza assume avere una strategia di contenimento delle fasi di correzione.

Il nostro cliente tipicamente dispone di un buon capitale accumulato negli anni ed è interessato a proteggerlo dai momenti di inevitabile fragilità dei mercati finanziari, pur volendo partecipare alle lunghe fasi di rialzo che storicamente si osservano sugli stessi.

In aggiunta, egli riconosce l’importanza di avere una corretta impostazione d’investimento per il proprio patrimonio e, al contempo, di disporre sempre di uno o più linee d’intervento sul suo portafoglio in presenza di un mutato scenario di mercato: una opportunità che un sistema di private banking centrato su modelli di asset allocation statica non può offrire.

In linea con quanto previsto dalla legge, il cliente viene classificato rispetto al suo profilo di rischio, al fine di valutare l’adeguatezza delle soluzioni d’investimento proposte.

Una volta definito il quadro di asset allocation strategica rispetto al quale viene costruito il portafoglio, il cliente viene informato di quelle che potrebbero essere le principali soluzioni di aggiustamento tattiche che potrebbero essere proposte, al variare delle condizioni di mercato.

In ogni caso, qualsiasi proposta di cambiamento dell’asset allocation avviene nella logica di ridurre il rischio del portafoglio, o di riportarlo alla sua condizione iniziale. Ogni proposta è quindi sempre in linea con la propensione al rischio del cliente stesso, sulla base delle informazioni rilevanti ricevute dalla società all’inizio dell’instaurazione del rapporto.

Il cliente viene ovviamente messo nella condizione di selezionare strumenti finanziari nell’ambito di un universo d’investimento molto ampio.

Nell’ambito di quest’offerta viene operata una distinzione tra strumenti che storicamente sono fonti di redditività (c.d. growth-oriented assets) e strumenti difensivi (c.d. conservative assets). I primi diversificano sul comparto azionario, per settori e aree geografiche, sulle materie prime, sia singole che su basket delle stesse, e su ETF obbligazionari corporate. Diversamente, gli strumenti difensivi includono ETF obbligazionari governativi, metalli preziosi, strumenti di mercato monetario e liquidità.

Storicamente, abbiamo anche osservato fasi di mercato in cui strumenti rischiosi (azioni) e strumenti difensivi (obbligazioni governative) si sono mossi in maniera fortemente correlata: per questo la definizione di due grandi famiglie di strumenti finanziari, rischiosi e difensivi, consente di avere sempre delle opzioni a seconda delle fasi di mercato, indipendentemente da singoli, magari temporanei, aumenti di correlazione tra singoli strumenti.

Al di là della retorica su quanto sia necessario avere la giusta mentalità per investire sui mercati finanziari, è indubbio che un certo grado di forza mentale sia necessario per vivere serenamente le diverse fasi sui mercati.

Lo studio e la ricerca sugli strumenti finanziari e sulle logiche operative di gestione del capitale sono la base imprescindibile da cui partire ma la disciplina è il terzo pilastro senza il quale nessun piano d’investimento può funzionare.

La disciplina è fondamentale non solo nelle fasi complesse di mercato ma anche in quelle molto costruttive. L’illusione del controllo o l’avidità possono spingerci a ridurre la diversificazione di portafoglio o, ad esempio, a saltare un ribilanciamento di portafoglio: “in fondo, questa posizione (titolo, ETF o qualsiasi altro strumento) sta andando così bene, perché devo vendere? Perché non investire ancora un po’?”

L’analisi quantitativa serve a rimuove larga parte della discrezionalità delle nostre scelte, ricordandoci l’importanza di un approccio strutturato alla gestione del capitale, ma solo l’esercizio della disciplina fa di noi degli investitori razionali e di successo.

DLD Capital mette a disposizione del cliente una vasta selezione di strumenti finanziari sulla base di logiche che ne valutino soprattutto l’opportunità in termini di costo, performance storica, volatilità e grado di correlazione con i mercati di riferimento: certamente consideriamo singoli titoli, azionari o obbligazionari, e fondi comuni d’investimento. Tuttavia, è indiscutibile che gli ETF negli anni siano diventati nel tempo uno strumento la cui flessibilità operativa è seconda solo a quella dei futures.

In aggiunta, gli ETF offrono un vantaggio notevole sul piano della diversificazione, in particolare con riferimento agli investimenti sul settore dei titoli a bassa capitalizzazione (small caps) e su quello dei titoli obbligazionari speculativi (high yield).

Sul primo fronte, i titoli a bassa capitalizzazione possono contenere un forte rischio specifico ed un errata valutazione del titolo sul piano fondamentale può portare perdite significative e difficilmente recuperabili. Lo stesso titoli inserito in un ETF avrebbe un impatto decisamente più limitato sul portafoglio. Sul secondo, il vantaggio dell’ETF è ancor più significativo: i titoli obbligazionari speculativi possono andare incontro a forti crisi sul piano della liquidità e a perdite di valore tra l’80% ed il 100%, nel caso di fallimento della società. Persino un evento estremo di questa dimensione diventa molto gestibile nel complesso di uno strumento altamente diversificato come un ETF.

Un portafoglio viene sempre costruito in funzione della propensione al rischio del singolo cliente, in linea con quanto previsto dalla normativa Mifid, che prevede una verifica di adeguatezze delle soluzioni d’investimento proposte. Il nostro modello di asset allocation è strutturato propriamente per poter riflettere in maniera più dinamica e granulare la propensione al rischio dell’investitore, in particolare mediante la quantificazione di parametri che possono essere definiti, ed eventualmente aggiornati, in relazione alla propensione al rischio del cliente.

La grande maggioranza dei modelli di robo-advisory sono strutturati nella forma di una replica di modelli di asset allocation statica, con operazioni di ribilanciamento delle posizioni che avvengono ad intervalli regolari, indipendentemente dalle fasi di mercato.

Al contrario il nostro modello di consulenza, in primis, è strutturato in modo da potere cogliere con maggior grado di dettaglio le necessità del cliente. Secondariamente, i nostri modelli prevedono l’adozione di specifiche modalità di intervento di mitigazione del rischio di portafoglio al mutare delle condizioni di mercato.

Nell’esempio sottostante si può osservare il confronto tra un portafoglio di ETF obbligazionari, costruito con una logica rotazionale che ottimizza i pesi dei singoli ETF in relazione alla volatilità degli ultimi tre mesi, ed il suo benchmark, un ETF obbligazionario governativo con duration compresa tra 15 e 30 anni. Su un orizzonte di circa 14 anni (2007 – 2021) possiamo osservare come portafoglio sovraperformi per un lungo periodo il benchmark ma, soprattutto, presenti una volatilità nettamente inferiore: nello specifico la deviazione standard del portafoglio sul periodo considerato è pari al 3.9% annuo, mentre quella del benchmark è pari al 9.8%. In termini di remunerazione del rischio, il portafoglio batte il benchmark sotto tutte le metriche di riferimento (maximum drawdown, Sharpe Ratio, deviazione standard e rapporto tra profitto e maximum drawdown).

Una miglior remunerazione del rischio assunto si traduce in due vantaggi immediati: in primis, in una minor oscillazione del portafoglio a parità di rendimento e, secondariamente, una limitazione del rischio di effettuare riscatti dalla posizione in momenti in cui la stessa è in forte sofferenza. In questo senso, il confronto grafico è molto chiaro.

*Scenario ipotetico a scopo illustrativo. Capitale iniziale: $1.000.000. Questo backtest non considera l’impatto dei costi di transazione. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.

Consulenza finanziaria integrata

Le Società di Consulenza Finanziaria, o SCF, sono società autorizzate a svolgere la consulenza in materia di investimenti senza detenere fondi o titoli, i quali restano nella esclusiva disponibilità dei clienti. Possono assumere la forma giuridica di società per azioni (S.p.A.) o di società a responsabilità limitata (S.r.l.).

Il presupposto della loro attività è la regolare iscrizione all’albo dell’Organismo di Vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari (OCF), in presenza di specifici requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e di precisi requisiti patrimoniali.

La società di consulenza finanziaria viene remunerata esclusivamente dai clienti per conto dei quali svolge la consulenza in oggetto e gli è espressamente preclusa qualsiasi forma di beneficio e/o onorario da un soggetto diverso dal cliente (c.d. modello a “parcella”)

In misura maggiore rispetto a quanto si osserva in altri paesi europei, gli investitori italiani sono penalizzati da un’industria del risparmio gestito ancora fortemente concentrata nell’offerta di prodotti c.d. a “gestione attiva”. Questi prodotti presentano un profilo di costi decisamente significativo, come evidenziato dal report della European Securities and Market Authority (ESMA) nel 2020: Performance and Costs of Retail Investment Products in the EU.

Il report evidenzia il maggior costo applicato sugli investitori al dettaglio rispetto a quelli istituzionali per i prodotti azionari ed obbligazionari:

Parimenti l’analisi evidenzia l’incapacità di questi prodotti di giustificare i costi con le performance generate:

Concentrandosi sulla distribuzione e la dispersione dei costi, indipendentemente dal tipo di gestione, questi non corrispondono a performance più elevate, ossia non si osserva alcuna correlazione tra costi del fondo e la sua performance. Per i fondi azionari attivi, i costi sono stati in media tra l’1% e il 3%, indipendentemente dalla performance annua lorda”.

Sul piano geografico, il report evidenzia inoltre come l’Italia sia uno dei paesi meno competitivi sul piano dei costi:

Indicativamente, tra le giurisdizioni sono osservabili differenze in termini di livelli di costo per lo stesso tipo di canale distributivo. Ad esempio, concentrandosi sui fondi azionari, i distributori bancari addebitano costi più elevati in Italia e Grecia, rispetto a Finlandia, Malta o Slovacchia…. In media in Italia i costi sembrano essere più alti nel confronto con gli altri dodici paesi per i quali sono disponibili i dati”.

Lo stessa ricerca evidenzia la costante crescita degli ETF, ossia di prodotti ad indicizzazione passiva, i cui costi si aggirano intorno allo 0.1% – 0.3% annuo.

Gli ETF sono strumenti che replicano passivamente l’andamento di uno strumento finanziario e, oltre a presentare un profilo di costi di circa l’80-90%% inferiore rispetto ai prodotti attivi, consentono una flessibilità operativa all’investitore impensabile con molti prodotti attivi.

In conclusione, al netto della parcella da riconoscere alla SCF, il ricorso ad una serie di prodotti più efficienti, che comprende ma non si limita agli ETF, consente al risparmiatore di conseguire da subito risparmi netti molto significativi in termini di costo di gestione del portafoglio.