Tra i tanti interrogativi che sono la parte fondamentale di questa professione il più importante resta sempre uno: in termini di asset allocation, siamo posizionati correttamente? Chiaramente, questa risposta assume caratteri di soggettività in funzione del profilo di rischio dell’investitore ma non è integralmente così. Più correttamente, la domanda dovrebbe essere: siamo allocati in linea con quella che è la opinione aggregata del mercato?
Nonostante la natura strettamente personale delle nostre scelte d’investimento, non dobbiamo dimenticare due verità che nel tempo non mutano: 1) le nostre personali convinzioni non contano 2) il mercato sconta ogni fattore correttamente e, se abbiamo la sensazione lo stesso non consideri adeguatamente un qualche elemento, siamo probabilmente noi ad attribuirgli un significato superiore a quello reale. Dove siamo, quindi, oggi?
Nel periodo compreso tra il 16 giugno ed il 19 agosto scorso, i mercati azionari hanno messo a segno un rally significativo, che si è inserito nel quadro del bear market sviluppatosi da inizio anno. La dimensione del rimbalzo, e le informazioni che venivano dagli internals dei principali indici azionari, sono stati tali da farci ritenere che il minimo del 16 giugno possa essere un minimo di periodo. In aggiunta, il segnale del 91% dei titoli dell’S&P500, alla seduta del 15 agosto, ha rappresentato un segnale bullish per l’indice americano. Alla verifica storica, la media dei rendimenti a dodici mesi è molto positiva, senza tuttavia dimenticare l’altro lato della medaglia, il drawdown massimo. Proiettando i tre drawdown più significativi sul valore della chiusura nel giorno del segnale, abbiamo identificato i seguenti supporti.
S&P500 (marzo 2020 – agosto 2022)
Alla luce della settimana appena trascorsa, dove l’indice americano ha perso il 3,29%, questi supporti sono più vicini, indebolendo di conseguenza l’ipotesi che il minimo di giugno resti “illeso” nei prossimi mesi. Assumendo quindi che il mercato sia alla ricerca di nuovi minimi, dove potrebbe trovarli?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un breve passo indietro. Nella tabella sottostante sono indicati tutti i bear markets dell’indice americano dal 1950 ad oggi. Per ragioni di metodo non sono stati considerati quelli antecedenti a quella data, vista la loro numerosità e la stretta vicinanza temporale alla crisi degli anni 30.
Fonte: DLD Capital SCF
Come osserviamo, la media implicherebbe una correzione di un ulteriore 10% rispetto al minimo del 16 giugno scorso. Volendo meglio contestualizzare, abbiamo isolato una correzione nello specifico, ossia quella relativa al periodo novembre 1980 – agosto 1982. La ragione è semplice: si tratta dell’unico bear market in cui la Fed ha proceduto ad un rialzo dei tassi rispetto al suo taglio, almeno per una parte del periodo in oggetto.
Fonte: Fed St. Louis, DLD Capital SCF
Se quindi combiniamo le diverse osservazioni e le trasponiamo in termini reali, ossia nei prezzi, il quadro che ci si para davanti è il seguente, con area 3.145 punti che sarebbe pari ad una correzione in linea con media storica dei bear markets (-34,47%), area 3.662 che è pari al minimo di giugno scorso e, infine, area 3.500 che sarebbe pari alla correzione sperimentata nel biennio 1980 – 1982.
S&P500 (giugno 2020 – agosto 2022)
Quali conclusioni possiamo trarne? Che è statisticamente più probabile che il processo di formazione del minimo si stia allungando sul piano dei tempi e che, parimenti, ciò comporta una maggiore probabilità che i minimi si trovino al di sotto dei livelli di giugno.
L’altro interrogativo che gli operatori si pongono, soprattutto alla luce del recente intervento di Jerome Powell a Jackson Hole, è: in che misura il mercato oggi sconta un rallentamento da inflazione e/o da indebolimento dei fondamentali economici?
Nel quadro della riflessione della settimana precedente avevamo osservato come, da inizio anno, solamente uno dei componenti del Recession Index, elaborato dalla Fed di Dallas, aveva mostrato evidenti segnali di indebolimento.
Fonte: Fed St. Louis
Andando per esclusione, non possiamo non rilevare come, nel corso degli ultimi tre mesi, le principali materie prime, tanto industriali quanto agricole, con la sola eccezione del gas naturale, siano andate incontro ad una correzione molto profonda. Questo stato di cose lascia pensare che il tema inflazione sia già largamente nei prezzi e che lo sguardo del mercato nel suo complesso sia rivolto, se non del tutto, almeno in parte altrove.
Fonte: Stockcharts
In aggiunta, la seduta di venerdì scorso ci ha fornito un’indicazione molto significativa in questo senso. Precedentemente al rilascio dei dati sull’occupazione americana, il FedWatch Tool del CME indicava una probabilità del 72% di un rialzo dei tassi per 75 punti base. Successivamente questa probabilità è scesa al 57%, in flessione anche rispetto alla settimana precedente (61%).
Fonte: CME Group
Cosa segnala questo cambio di probabilità? Che il mercato attualmente prezza sempre più probabile un rallentamento economico, lasciando possibilità sempre più limitate alla Fed di proseguire sulla strada del rialzo dei tassi, perché presto potrebbe essere chiamata a fornire supporto ad un ciclo economico diverso da quello attuale.
Venendo all’ultima dimensione del nostro ragionamento, quali indicazioni ci arrivano direttamente dai prezzi degli assets? La correzione della settimana appena trascorsa dovrebbe dirci molto, ma alcune ulteriori indicazioni possono essere ulteriormente significative.
Partendo dai c.d. “internals”, la differenza tra la formazione di nuovi massimi e quella di nuovi minimi sull’S&P500 non evidenzia segnali significativi di ripresa, quanto piuttosto la formazione di un bottom esteso, che parte dalla metà di luglio e che oggi fatica a trovare “momentum” di alcun tipo, tanto al rialzo quanto al ribasso.
S&P500 New Highs – New Lows Index (ottobre 2021 – settembre 2022)
La medesima dinamica può essere osservata nella differenza tra i volumi in acquisto rispetto a quelli in vendita. Non solo: nel caso in oggetto la debolezza è particolarmente pronunciata, in una misura simile a quella che osserviamo direttamente sui prezzi.
S&P500 Up Volumes – Down Volumes Index (settembre 2018 – settembre 2022)
Le dinamiche settoriali sono, se possibile, ancor più esplicite: nel grafico sottostante osserviamo un confronto di forza relativa tra l’S&P500 e, nell’ordine, il settore dei Consumer Staples, quello delle Utilities e, infine, quello dei semiconduttori. I primi due sono settori altamente difensivi e la loro sovraperformance in questa fase, soprattutto nel caso delle utilities, è piuttosto significativa. Diversamente, l’ultimo è un settore tipico del comparto growth e la cui sovraperformance verso l’S&P500 è netta da oltre un decennio. L’osservazione da inizio anno evidenzia, al contrario, una debolezza crescente, che ben spiega la limitata capacità di tenuta del rimbalzo sviluppatosi tra giugno ed agosto.
SPY:XLP, SPY:XLU, SOOX:SPY (gennaio – settembre 2022)
Venendo alle conclusioni, l’evidenza delle ultime due settimane ci descrive con grande chiarezza il quadro di un rimbalzo che si sta riassorbendo molto rapidamente e, se pensiamo che ciò si inserisce di un trend primario ribassista, è evidente che questo stato di cose è particolarmente negativo per i mercati azionari. L’S&P500 ed il Nasdaq hanno fornito segnali di tenuta in corrispondenza di area 3.900 e 11.500 ma i margini di errore per chi si pone a rialzo sul mercato sono sempre più limitati. Il 13 settembre prossimo uscirà il dato sull’inflazione americana (CPI), che sarà destinato ad essere un catalyst importante nella dinamica dei prezzi delle prossime settimane. In linea con quanto osservato la settimana precedente, l’economia americana evidenzia segnali di tenuta ancora notevoli, allontanando l’idea di una prossima recessione: tuttavia, su questa base, l’ipotesi di una Fed più accomodante sul fronte monetario si allontanerebbe significativamente. Siamo oggettivamente in uno dei mercati più complessi di sempre ed in presenza di un numero maggiore di variabili rispetto al recente passato (guerra in Europa, inflazione globale e crisi energetica in diverse aree economiche). Il processo di “bottoming” su diverse asset class è in evoluzione ma, come spesso ricordato, i tempi di un bear market possono non essere brevi. Tutte le ipotesi sono sul tavolo, compresa una discesa di un’ulteriore 10%-20% sui mercati azionari: non è tempo di stock o sector picking quanto piuttosto di piani molto dettagliati di c.d. “risk scaling”, sempre con l’idea di restare allineati a quella gigantesca somma di profili psicologici che trovano rappresentazione nei prezzi.
Non confondere le competenze con la fortuna quando giudichi gli altri e, ancor di più, quando giudichi te stesso – Carl Ichan
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Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).
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Mercati alla ricerca DEL minimo
Tra i tanti interrogativi che sono la parte fondamentale di questa professione il più importante resta sempre uno: in termini di asset allocation, siamo posizionati correttamente? Chiaramente, questa risposta assume caratteri di soggettività in funzione del profilo di rischio dell’investitore ma non è integralmente così. Più correttamente, la domanda dovrebbe essere: siamo allocati in linea con quella che è la opinione aggregata del mercato?
Nonostante la natura strettamente personale delle nostre scelte d’investimento, non dobbiamo dimenticare due verità che nel tempo non mutano: 1) le nostre personali convinzioni non contano 2) il mercato sconta ogni fattore correttamente e, se abbiamo la sensazione lo stesso non consideri adeguatamente un qualche elemento, siamo probabilmente noi ad attribuirgli un significato superiore a quello reale. Dove siamo, quindi, oggi?
Nel periodo compreso tra il 16 giugno ed il 19 agosto scorso, i mercati azionari hanno messo a segno un rally significativo, che si è inserito nel quadro del bear market sviluppatosi da inizio anno. La dimensione del rimbalzo, e le informazioni che venivano dagli internals dei principali indici azionari, sono stati tali da farci ritenere che il minimo del 16 giugno possa essere un minimo di periodo. In aggiunta, il segnale del 91% dei titoli dell’S&P500, alla seduta del 15 agosto, ha rappresentato un segnale bullish per l’indice americano. Alla verifica storica, la media dei rendimenti a dodici mesi è molto positiva, senza tuttavia dimenticare l’altro lato della medaglia, il drawdown massimo. Proiettando i tre drawdown più significativi sul valore della chiusura nel giorno del segnale, abbiamo identificato i seguenti supporti.
Alla luce della settimana appena trascorsa, dove l’indice americano ha perso il 3,29%, questi supporti sono più vicini, indebolendo di conseguenza l’ipotesi che il minimo di giugno resti “illeso” nei prossimi mesi. Assumendo quindi che il mercato sia alla ricerca di nuovi minimi, dove potrebbe trovarli?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un breve passo indietro. Nella tabella sottostante sono indicati tutti i bear markets dell’indice americano dal 1950 ad oggi. Per ragioni di metodo non sono stati considerati quelli antecedenti a quella data, vista la loro numerosità e la stretta vicinanza temporale alla crisi degli anni 30.
Come osserviamo, la media implicherebbe una correzione di un ulteriore 10% rispetto al minimo del 16 giugno scorso. Volendo meglio contestualizzare, abbiamo isolato una correzione nello specifico, ossia quella relativa al periodo novembre 1980 – agosto 1982. La ragione è semplice: si tratta dell’unico bear market in cui la Fed ha proceduto ad un rialzo dei tassi rispetto al suo taglio, almeno per una parte del periodo in oggetto.
Se quindi combiniamo le diverse osservazioni e le trasponiamo in termini reali, ossia nei prezzi, il quadro che ci si para davanti è il seguente, con area 3.145 punti che sarebbe pari ad una correzione in linea con media storica dei bear markets (-34,47%), area 3.662 che è pari al minimo di giugno scorso e, infine, area 3.500 che sarebbe pari alla correzione sperimentata nel biennio 1980 – 1982.
Quali conclusioni possiamo trarne? Che è statisticamente più probabile che il processo di formazione del minimo si stia allungando sul piano dei tempi e che, parimenti, ciò comporta una maggiore probabilità che i minimi si trovino al di sotto dei livelli di giugno.
L’altro interrogativo che gli operatori si pongono, soprattutto alla luce del recente intervento di Jerome Powell a Jackson Hole, è: in che misura il mercato oggi sconta un rallentamento da inflazione e/o da indebolimento dei fondamentali economici?
Nel quadro della riflessione della settimana precedente avevamo osservato come, da inizio anno, solamente uno dei componenti del Recession Index, elaborato dalla Fed di Dallas, aveva mostrato evidenti segnali di indebolimento.
Andando per esclusione, non possiamo non rilevare come, nel corso degli ultimi tre mesi, le principali materie prime, tanto industriali quanto agricole, con la sola eccezione del gas naturale, siano andate incontro ad una correzione molto profonda. Questo stato di cose lascia pensare che il tema inflazione sia già largamente nei prezzi e che lo sguardo del mercato nel suo complesso sia rivolto, se non del tutto, almeno in parte altrove.
In aggiunta, la seduta di venerdì scorso ci ha fornito un’indicazione molto significativa in questo senso. Precedentemente al rilascio dei dati sull’occupazione americana, il FedWatch Tool del CME indicava una probabilità del 72% di un rialzo dei tassi per 75 punti base. Successivamente questa probabilità è scesa al 57%, in flessione anche rispetto alla settimana precedente (61%).
Cosa segnala questo cambio di probabilità? Che il mercato attualmente prezza sempre più probabile un rallentamento economico, lasciando possibilità sempre più limitate alla Fed di proseguire sulla strada del rialzo dei tassi, perché presto potrebbe essere chiamata a fornire supporto ad un ciclo economico diverso da quello attuale.
Venendo all’ultima dimensione del nostro ragionamento, quali indicazioni ci arrivano direttamente dai prezzi degli assets? La correzione della settimana appena trascorsa dovrebbe dirci molto, ma alcune ulteriori indicazioni possono essere ulteriormente significative.
Partendo dai c.d. “internals”, la differenza tra la formazione di nuovi massimi e quella di nuovi minimi sull’S&P500 non evidenzia segnali significativi di ripresa, quanto piuttosto la formazione di un bottom esteso, che parte dalla metà di luglio e che oggi fatica a trovare “momentum” di alcun tipo, tanto al rialzo quanto al ribasso.
La medesima dinamica può essere osservata nella differenza tra i volumi in acquisto rispetto a quelli in vendita. Non solo: nel caso in oggetto la debolezza è particolarmente pronunciata, in una misura simile a quella che osserviamo direttamente sui prezzi.
Le dinamiche settoriali sono, se possibile, ancor più esplicite: nel grafico sottostante osserviamo un confronto di forza relativa tra l’S&P500 e, nell’ordine, il settore dei Consumer Staples, quello delle Utilities e, infine, quello dei semiconduttori. I primi due sono settori altamente difensivi e la loro sovraperformance in questa fase, soprattutto nel caso delle utilities, è piuttosto significativa. Diversamente, l’ultimo è un settore tipico del comparto growth e la cui sovraperformance verso l’S&P500 è netta da oltre un decennio. L’osservazione da inizio anno evidenzia, al contrario, una debolezza crescente, che ben spiega la limitata capacità di tenuta del rimbalzo sviluppatosi tra giugno ed agosto.
Venendo alle conclusioni, l’evidenza delle ultime due settimane ci descrive con grande chiarezza il quadro di un rimbalzo che si sta riassorbendo molto rapidamente e, se pensiamo che ciò si inserisce di un trend primario ribassista, è evidente che questo stato di cose è particolarmente negativo per i mercati azionari. L’S&P500 ed il Nasdaq hanno fornito segnali di tenuta in corrispondenza di area 3.900 e 11.500 ma i margini di errore per chi si pone a rialzo sul mercato sono sempre più limitati. Il 13 settembre prossimo uscirà il dato sull’inflazione americana (CPI), che sarà destinato ad essere un catalyst importante nella dinamica dei prezzi delle prossime settimane. In linea con quanto osservato la settimana precedente, l’economia americana evidenzia segnali di tenuta ancora notevoli, allontanando l’idea di una prossima recessione: tuttavia, su questa base, l’ipotesi di una Fed più accomodante sul fronte monetario si allontanerebbe significativamente. Siamo oggettivamente in uno dei mercati più complessi di sempre ed in presenza di un numero maggiore di variabili rispetto al recente passato (guerra in Europa, inflazione globale e crisi energetica in diverse aree economiche). Il processo di “bottoming” su diverse asset class è in evoluzione ma, come spesso ricordato, i tempi di un bear market possono non essere brevi. Tutte le ipotesi sono sul tavolo, compresa una discesa di un’ulteriore 10%-20% sui mercati azionari: non è tempo di stock o sector picking quanto piuttosto di piani molto dettagliati di c.d. “risk scaling”, sempre con l’idea di restare allineati a quella gigantesca somma di profili psicologici che trovano rappresentazione nei prezzi.
Non confondere le competenze con la fortuna quando giudichi gli altri e, ancor di più, quando giudichi te stesso – Carl Ichan
Disclaimer:
Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).