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I mercati, sotto la superficie

Winston Churchill soleva dire che “non bisogna mai sprecare una crisi” ed è una frase che, con una certa frequenza, ritroviamo in diversi contesti della vita sociale quando questa è attraversata da cambiamenti dolorosi. Nulla da eccepire: le crisi insegnano.

Ad un anno dall’inizio di una delle correzioni più significative nella storia dei mercati finanziari, in misura particolare perché avvenuta in presenza di una forte correlazione tra mercato azionario e obbligazionario, è quindi probabilmente sensato domandarsi: cosa abbiamo appreso negli ultimi dodici mesi? 

Probabilmente non molto e, verosimilmente, non dobbiamo farcene una colpa: certamente, però, la sfida di quest’anno, e dei mesi a venire, sarà nella nostra capacità di comprendere come sarà il prossimo futuro in un contesto di mercato che sempre più si allontana dall’ultimo decennio e sempre più si avvicina a tempi lontani dalla nostra memoria.

In questo senso, la prima settimana dell’anno è stata piuttosto paradigmatica della contrapposizione che attraversa le menti dei diversi operatori sui mercati finanziari.

La pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione della Fed, nella giornata di mercoledì, ha dato vita ad un discreto sell-off mentre, al contrario, la debolezza dei dati sul mercato del lavoro americano, rilasciati nella giornata di venerdì, ha evidenziato segnali di debolezza che, per contro, hanno spinto i mercati azionari e obbligazionari a chiudere l’ultima seduta della settimana in forte rialzo. A sostenere l’ottimismo degli investitori hanno contribuito le dichiarazioni del presidente della Fed di Saint Louis, James Bullard, circa le maggiori possibilità che l’economia americana si dimostri più resiliente delle stime (c.d. soft landing) e che l’inflazione sia prossima più di quanto si crede ad un deciso rallentamento.

Fonte: Bloomberg, Reuters

Partendo da ciò che si è riflesso nei prezzi, possiamo partire da due rilevazioni piuttosto significative:

1) Prosegue il consolidamento del rimbalzo del comparto value, esemplificato nel Dow Jones ma altrettanto evidente nel Dax, che per semplicità qui non mettiamo in evidenza.

2) l’S&P500 resta prossimo ad un’area di test molto significativa, con l’obiettivo principale nel breve termine di recuperare l’area dei 4.100 punti.

Fonte: S&P500 Large Cap Index, Dow Jones Industrial Average (FY 2022)

L’ultimo dato da acquisire è la manifesta debolezza del Nasdaq, tornato sui minimi di ottobre, e che ci conferma la natura prettamente difensiva delle sedute di rialzo che abbiamo osservato sui mercati azionari per tutto l’ultimo trimestre del 2022.

Fonte: Nasdaq100 Index (2021 – 2022)

Una simile divergenza di performance tra comparto Value e comparto growth, quali similitudini ci porta alla mente? una certamente è quella con la correzione del 2000 – 2002.

Ad un anno dal suo ultimo massimo storico (36.953 punti al 5/1/22) il Dow ha mostrato una tenuta decisamente superiore rispetto agli altri indici (-10,92%). Anche nel 2000 il massimo storico fu toccato nel mese di gennaio (11.731 punti il 14/1/2000) e, a distanza di un anno, la flessione complessiva dell’indice fu molto simile a quella attuale (-10,62%). Tuttavia, con l’arrivo della recessione l’indice perse un ulteriore 31,47%, fino al minimo di ottobre 2002.

Fonte: Dow Jones Industrial Average (2021 – 2022); Dow Jones Industrial Average (1999 – 2003)

Inutile dire che non sappiamo se quanto osservato nel 2002 si verificherà anche in questa occasione e che, come sempre, le similitudini con il passato non forniscono certezze. Tuttavia, ci aiutano in un compito fondamentale: considerare l’ampio spettro di scenari futuri che il quadro probabilistico ci restituisce.

Parimenti, uno spettro così ampio di scenari potenziali non ci aiuta nelle nostre scelte d’investimento. 

È quindi forse utile analizzare nuovamente la seduta di mercoledì 4 gennaio, per meglio ponderare il contenuto dei verbali della Fed, confrontarli con il dato sul mercato del lavoro di venerdì e, infine, valutare quale tra i due dati presenti il contenuto informativo prospettico più significativo per il nostro posizionamento come investitori.

Interrogando i verbali del FOMC, è ragionevole porci le seguenti domande e cercare le relative risposte:

1) Sono emerse indicazioni di qualsiasi genere in ordine ad una prossima inversione di politica monetaria (c.d. Fed Pivot)? 

No. Testualmente i verbali recitano come “nessuno dei membri ha anticipato di ritenere appropriata una riduzione dei tassi d’interesse nel corso del 2023

2) È stata fornita un’indicazione almeno sulla tempistica entro cui si potrebbe considerare un progressivo allentamento delle condizioni monetarie? 

No. I verbali chiaramente richiamano all’esperienza degli anni 70 e alla necessità di mantenere una politica monetaria restrittiva per un tempo sufficiente ad invertire strutturalmente le aspettative inflazionistiche. Nello specifico “alla luce del persistente ed inaccettabile livello dell’inflazione attuale, diversi membri hanno commentato come l’esperienza storica debba essere da monito ad un prematuro allentamento della politica monetaria”.

È evidente come, a questo punto, i mercati si trovino nella condizione di dover ponderare due scenari di fondo:

1) In linea con i dati macroeconomici più recenti, non dovremmo assistere ad una prossima recessione. Un progressivo deterioramento del mercato del lavoro dovrebbe essere sufficiente a rallentare la crescita dei prezzi, riportando più o meno rapidamente la Fed su posizioni più accomodanti in materia di politica monetaria rispetto a quelli degli ultimi dodici mesi.

2) I dati macroeconomici segnalano un ciclo economico ancora solido ed è difficile che i prezzi rallentino, in assenza di un forte innalzamento del tasso di disoccupazione e di una prossima recessione. 

Di conseguenza, è molto probabile che la Fed, e le banche centrali nel loro complesso, continueranno a drenare liquidità dal mercato, riducendo le dimensioni del loro bilancio e mantenendo i tassi d’interesse su livelli restrittivi ancora a lungo.

La scelta di quale logica di pensiero sposare viene dalla risposta ad una semplice domanda: dobbiamo realmente credere alla Fed, e alle altre banche centrali, circa la loro volontà di mantenere questa impostazione di politica monetaria, fino alla piena evidenza di una inflazione nuovamente intorno al 2%?

Realisticamente, la bontà delle nostre scelte d’investimento sarà la funzione della nostra comprensione delle politiche monetarie del prossimo futuro. La ragione è molto semplice: liquidità e dinamica dei mercati finanziari presentano una correlazione storicamente molto alta.

Fonte: Fred

In un simile contesto, non dobbiamo perdere di vista come la Fed, al pari di quanto pianifica di fare la BCE, stia drenando liquidità tanto mediante l’innalzamento dei tassi d’interesse quanto mediante il programma di riduzione del bilancio della banca centrale (c.d. quantitative tightening). 

Svestendoci per un attimo dai panni dell’investitore, e ponendoci in quelli della banca centrale, dovremmo domandarci: quali condizioni sarebbero maggiormente favorevoli per la Fed, ai fini di una riduzione strutturale del livello d’inflazione? 

Realisticamente, è verosimile che la Fed desideri prezzi più bassi di tutti gli asset, il che comporterebbe in riduzione della fiducia dei consumatori, la riduzione dei consumi e di conseguenza la riduzione del tasso di crescita dei prezzi.

Nei fatti, quindi, la rivalutazione dei prezzi degli assets si muove nella direzione opposta rispetto a quella desiderata dalle banche centrali, ragion per cui è ragionevole considerare oggi tutti i segnali costruttivi sul ciclo economico (occupazione, prezzi, fiducia dei consumatori, vendite al dettaglio) come propedeutici alla prosecuzione della di politiche monetarie restrittive. 

In questo senso, la formazione di condizioni finanziarie restrittive condurrà ad una recessione: tutti i modelli dicono che è molto probabile ma, ad oggi, i livelli di stress del settore finanziario sono in aumento ma ancora sotto controllo.

Fonte: Chicago Fed National Financial Condition Index

Ritrovandoci quindi nella paradossale condizione per cui la tenuta dei prezzi delle attività rappresenta un segnale opposto rispetto alla direzione che la Fed vuole dare alle sue azioni, la domanda a cui nessun investitore può rispondere con certezza è: quanto in là vogliono spingersi le banche centrali e, a quali condizioni (finanziarie, macroeconomiche, monetarie), sarebbero pronte ad invertire il corso della loro azione di politica monetaria?

Da qui la polarizzazione delle visioni: da un lato chi crede e vede prossimo un pivot di politica monetaria, scommettendo in banche centrali pronte a supportare il mercato al momento opportuno, come abbiamo osservato per oltre un decennio dal 2008 ad oggi. Dall’altro chi ritiene che oggi le banche centrali siano destinate ad essere meno interventiste rispetto al passato, alla luce del dovere primario di combattere un’inflazione tornata su livelli che non si osservavano da oltre quarant’anni.

La verità del mercato, di oggi e di domani, giace tra queste due posizioni e con essa la necessità per noi investitori di trovare il giusto posizionamento.

Non dobbiamo quindi sprecare quanto, con grande sofferenza, abbiamo appreso nel corso del 2022: il punto è che, dopo dodici mesi di flessione congiunta del mercato azionario e obbligazionario, siamo ancora qui a domandarci come si comporteranno le banche centrali nel caso in cui si trovassero nel bivio di dover scegliere tra la lotta all’inflazione e la necessità, a fronte di un mutato contesto generale, di sostenere la liquidità del sistema finanziario.

Il futuro dei nostri portafogli passa per la nostra miglior comprensione del contesto generale (economico e finanziario) e della relativa condotta delle banche centrali al verificarsi di determinate circostanze (tenuta del ciclo economico o recessione, inflazione persistente o deflazione). 

Non è facile abbandonare un modello di pensiero utilizzato per oltre un decennio (2008 – 2022), per tornare a pensare con gli schemi di un sistema economico e finanziario di oltre quarant’anni fa. Tuttavia, questo è quanto ci viene richiesto da contesto attuale per gestire al meglio i nostri risparmi: investire non è mai stato facile e, se qualcuno lo ha mai detto, come minimo, possiamo dire che si sbagliava. 

“Non fare mai una scommessa che non puoi permetterti di perdere”

Alphonse Fletcher Jr.

Disclaimer:

Questo documento assume natura educativa e non può essere considerato attività di consulenza finanziaria indipendente. L’autore o DLD Capital SCF S.r.l. non sono responsabili delle decisioni che potrebbero essere intraprese a seguito della lettura di questo articolo. Prima di assumere scelte d’investimento, suggeriamo di rivolgervi ad un consulente finanziario iscritto all’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (www.organismocf.it).

Chi siamo
Edoardo Fusco Femiano

Edoardo vanta oltre 15 anni di esperienza in materia di gestione quantitativa e fondamentale di portafoglio, trading e analisi quantitativa e gestione del rischio, maturata all'interno di primarie istituzioni finanziarie nazionali ed internazionali (eToro, IOR - Banca Vaticana, Capitalia Asset Management S.g.r., SACE Spa e Citigroup CIB). Presso lo IOR è stato membro del Comitato Finanza, con responsabilità per la ricerca azionaria. Negli ultimi anni è stato consulente per istituzioni finanziarie, pubbliche amministrazioni e società del mondo fintech. Dal Maggio 2018 a Settembre 2021 è stato Italy Partner e Global Market Analyst di eToro. Nell’Agosto 2021 fonda DLD Capital SCF Srl. Leggi altro

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Condizioni Economiche

Si. DLD Capital SCF offre il servizio di consulenza finanziaria per patrimoni di importo non inferiore ai 500.000€

Il valore della commissione viene calcolato in percentuale sul patrimonio oggetto della consulenza. Per patrimoni di dimensioni rilevanti la società si riserva di proporre un piano commissionale agevolato.

Il pagamento della commissione annuale di consulenza viene suddiviso in due rate semestrali ed è corrisposto anticipatamente.

In aggiunta alle comunicazioni previste per legge e ai regolari incontri con la clientela, DLD Capital pubblica un report settimanale in cui vengono analizzati, in chiave logico-statistica, i più recenti eventi economico-finanziari ed il loro impatto sui mercati finanziari.

Suggeriamo ai clienti di ritagliare un regolare spazio del loro tempo per la lettura del report settimanale: il documento è il risultato di un costante lavoro di analisi delle più recenti dinamiche osservate sui mercati. La disciplina sui mercati finanziari viene dalla fiducia e questa viene dalla costante analisi delle informazioni a nostra disposizione: un investitore informato ha una probabilità di successo decisamente maggiore rispetto a quella di uno meno consapevole.

Pianificazione Finanziaria

I criteri classici della consulenza finanziaria in Italia si basano sull’utilizzo di modelli di asset allocation di tipo statico, confezionati mediante l’offerta di un paniere di strumenti finanziari che vanno a configurare un portafoglio di base, il quale resta sostanzialmente lo stesso per un periodo di tempo indefinito.

In DLD riteniamo che l’asset allocation statica non sia sufficiente e che, a questa, sia necessario abbinare modelli di asset allocation dinamica: l’obiettivo è offrire l’opportunità di variare l’esposizione complessiva al rischio al variare delle condizioni di mercato, isolando gli specifici fattori di rischio delle asset class in portafoglio.

In aggiunta, riteniamo fondamentale disporre di specifici protocolli d’intervento a difesa del portafoglio, al verificarsi di specifiche condizioni di mercato. Ciò può comportare una temporanea sovraesposizione su strumenti finanziari tipicamente più difensivi ed una sottoesposizione alle asset class più rischiose.

Tutti i nostri modelli sono il risultato di rigorosa analisi quantitativa e si rifanno alla vasta letteratura esistente in materia di quantitative investing.

Il capitale investibile è frutto del lavoro e del risparmio accumulato nel corso degli anni e nessun investitore vuole trovarsi strategicamente impreparato di fronte alle flessioni dei prezzi che storicamente e ciclicamente si verificano sui mercati finanziari.

Utilizzare un approccio “compra e tieni” (c.d. buy and hold) ha senso solo se si riesce a restare investiti per il 100% della propria vita da investitore. Tuttavia, la storia dei mercati finanziari è costellata di periodi storici molto complessi: momenti in cui sarebbe stato molto difficile restare sereni semplicemente pensando che “nel lungo periodo i mercati si riprenderanno”.

Se guardiamo alle serie storiche, osserviamo come persino sull’S&P500, l’indice azionario americano che storicamente ha manifestato la maggior tendenza rialzista nel lungo periodo, si è assistito a correzioni molto profonde e che hanno prodotto notevoli riduzioni della ricchezza per quanti si fossero trovati pienamente investiti in quel momento.

Periodo (S&P500)

Drawdown*

Capitale iniziale ($)

Capitale finale ($)

10/2007 – 3/2009

-56.80%

1.000.000

432.000

3/2000 – 10/2002

-49.20%

1.000.000

508.000

12/1973 – 3/1974

-48.20%

1.000.000

518.000

2/1968 – 5/1970

-36.10%

1.000.000

639.000

2/2020 – 3/2020

-35.75%

1.000.000

642.000

8/1987 – 12/1987

-33.50%

1.000.000

665.000

12/1961 – 6/1962

-28.00%

1.000.000

720.000

1/1980 – 8/1982

-27.10%

1.000.000

729.000

*La tabella ha carattere informativo. Il nostro approccio mira a limitare, e non ad eliminare, gli effetti di una correzione ciclica sui portafogli. Sebbene il nostro approccio si basi sull’analisi quantitativa delle serie storiche, non esistono garanzie sui mercati finanziari.

*Massima correzione dai massimi

 

Diversamente dall’approccio “compra e tieni”, l’applicazione di logiche quantitative, o Rules-Based, alle scelte di d’investimento, consente di disporre costantemente di strategie di mitigazione del rischio, da attuare al variare delle condizioni di mercato.

L’obiettivo non è conseguire rendimenti superiori agli indici di riferimento ma bensì contenere il rischio, non essere mai strategicamente impreparati di fronte alle fase di correzione e vivere più serenamente ogni fase di mercato.

“Investire nel lungo periodo è una buona idea se sei grande quanto una sequoia, una tartaruga gigante o una fondazione molto capitalizzata, ma gli individui non hanno un orizzonte di venti anni per riprendersi dalle grandi flessioni dei mercati”

(The Ivy Portfolio: How to invest like the top endowments and avoid bear markets di Mebane T. Faber e Eric W. Richardson)

La diversificazione è il primo strumento di mitigazione del rischio per l’investitore. Tuttavia, è storicamente provato come, oltre una certa soglia di strumenti in portafoglio, l’effetto complessivo di mitigazione del rischio diventa marginale.

L’inclusione di ulteriori strumenti finanziari in portafoglio, in assenza di comprovata verifica della capacità degli stessi di migliorare il profilo di rischio dello stesso, è non solo inutile ma potenzialmente incredibilmente dannosa, se inserita in una logica di portafoglio c.d. “compra e tieni”.

Se escludiamo gli strumenti che storicamente presentano il maggior “bias” rialzista, come ad esempio alcuni indici azionari globali, la gran parte degli strumenti finanziari non hanno la tendenza a salire nel lungo periodo. Basti osservare la performance dell’indice italiano FTSE MIB nel periodo 2004 – 2021:

Di fronte ad una flessione come quella della recessione 2008 – 2009 non avrebbe avuto alcun senso attendere una ripresa dell’indice: una ripresa che non si è mai verificata e che avrebbe lasciato l’investitore con una perdita durevole di valore ed un capitale che negli anni successivi non ha generato alcun rendimento. Le medesime considerazioni si possono estendere ad una larga serie di strumenti come azioni, obbligazioni e materie prime.

Persino l’indice S&P500, nonostante la sua storicamente comprovata forza rialzista, in diversi periodi storici è andato incontro a correzioni significative, impiegando anni a tornare sui livelli pre-correzione. Il grafico sottostante è l’S&P500 nel periodo 2000 – 2013. Qualora un investitore avesse allocato il suo capitale sull’indice americano nel Marzo del 2000, avrebbe avuto la possibilità di recuperare pienamente il suo capitale dopo otto anni, salvo poi andare incontro ad un’altra correzione e recuperarlo definitivamente ad Aprile del 2013. Tredici anni per recuperare il proprio capitale iniziale e nessun rendimento.

L’alternativa? Investire in quelle logiche di asset allocation, sia statica che dinamica, che negli anni hanno dimostrato di performare al meglio, includere in portafoglio solo gli strumenti che alla prova dei fatti migliorano il profilo di rischio complessivo del portafoglio, riducendone la volatilità, ed isolare i singoli fattori di rischio del portafoglio, gestendone i riflessi nelle diverse fasi di mercato.

I risultati straordinari naturalmente attraggono attenzione, ma gli osservatori più attenti sanno che il vero segreto del grande successo finanziario della fondazione di Harvard si chiama difesa, difesa e ancora difesa. Ma come, potreste chiedervi, può la sola difesa essere così centrale nel raggiungimento di risultati finanziari così straordinariamente positivi? Partendo dalla storica verità sul successo nel campo della finanza, ossia che quando semplicemente eliminiamo le perdite più rilevanti i risultati vengono da soli, dobbiamo sempre tenere a mente l’importanza dello stare lontano dai guai.

(Charles Ellis, Presidente del Comitato Investimenti, Università di Harvard)

No. Trading ed investing sono due attività profondamente diverse: entrambe utilizzano l’analisi quantitativa come primo strumento di analisi ed approfondimento ma le logiche operative, di costruzione e di gestione dei portafogli sono del tutto diverse. Sfruttare logiche dinamiche di costruzione di portafoglio non implica in alcun modo entrare ed uscire costantemente dal mercato.

Generare rendimenti significativi in mercati rialzisti senza avere una strategia per gestire mercati ribassisti è il più grave degli errori e può portare a distruggere in pochi mesi quanto guadagnato nel corso degli anni.

L’effetto dell’interesse composto (c.d. compounding) è un principio matematico che funziona tanto nella crescita del capitale quanto nella sua erosione.

Supponiamo di avere due portafogli: il primo opera secondo un logica “compra e tieni”, mentre il secondo unisce ad un asset allocation statica una serie di protocolli di asset allocation dinamica, al fine di gestire con buona flessibilità le diverse fasi di mercato:

 

Portafoglio 1*

 

 

Anno

Capitale iniziale ($)

Rendimento

Capitale finale ($)

1

200.000

20.00%

240.000

2

240.000

15.00%

276.000

3

276.000

15.00%

317.400

4

317.400

20.00%

380.880

5

380.880

-35.00%

247.572

*Scenario ipotetico a scopo illustrativo

 

Portafoglio 2*

 

 

Anno

Capitale iniziale ($)

Rendimento

Capitale finale ($)

1

200.000

10.00%

220.000

2

220.000

7.50%

236.500

3

236.500

7.50%

254.238

4

254.238

10.00%

279.661

5

279.661

-5.00%

265.678

*Scenario ipotetico a scopo illustrativo

Possiamo osservare che il portafoglio 1 ha realizzato una performance doppia rispetto a quella del portafoglio 2 per quattro anni consecutivi. Nel quinto, tuttavia, la gestione attiva del rischio ha consentito al portafoglio 2 di difendersi meglio e ridurre la perdita complessiva, al contrario di quanto avvenuto per il portafoglio 1, che è impostato in una logica di asset allocation statica. Al termine del quinto anno, il portafoglio 2 avrà non solo sperimentato una minor volatilità complessiva nell’arco dei cinque anni ma avrà anche conseguito un risultato superiore in termini di rendimento assoluto.

Troppo spesso ci si dimentica che il principio dell’interesse composto è un arma a doppio taglio: può operare tanto a nostro favore nelle fasi di rialzo quanto a nostro sfavore in quelle di ribasso. 

Questo semplice esempio spiega perché conseguire una performance superiore al benchmark è un obiettivo poco rilevante per l’investitore mentre, ai fini della costruzione e preservazione del capitale, ben altra rilevanza assume avere una strategia di contenimento delle fasi di correzione.

Il nostro cliente tipicamente dispone di un buon capitale accumulato negli anni ed è interessato a proteggerlo dai momenti di inevitabile fragilità dei mercati finanziari, pur volendo partecipare alle lunghe fasi di rialzo che storicamente si osservano sugli stessi.

In aggiunta, egli riconosce l’importanza di avere una corretta impostazione d’investimento per il proprio patrimonio e, al contempo, di disporre sempre di uno o più linee d’intervento sul suo portafoglio in presenza di un mutato scenario di mercato: una opportunità che un sistema di private banking centrato su modelli di asset allocation statica non può offrire.

In linea con quanto previsto dalla legge, il cliente viene classificato rispetto al suo profilo di rischio, al fine di valutare l’adeguatezza delle soluzioni d’investimento proposte.

Una volta definito il quadro di asset allocation strategica rispetto al quale viene costruito il portafoglio, il cliente viene informato di quelle che potrebbero essere le principali soluzioni di aggiustamento tattiche che potrebbero essere proposte, al variare delle condizioni di mercato.

In ogni caso, qualsiasi proposta di cambiamento dell’asset allocation avviene nella logica di ridurre il rischio del portafoglio, o di riportarlo alla sua condizione iniziale. Ogni proposta è quindi sempre in linea con la propensione al rischio del cliente stesso, sulla base delle informazioni rilevanti ricevute dalla società all’inizio dell’instaurazione del rapporto.

Il cliente viene ovviamente messo nella condizione di selezionare strumenti finanziari nell’ambito di un universo d’investimento molto ampio.

Nell’ambito di quest’offerta viene operata una distinzione tra strumenti che storicamente sono fonti di redditività (c.d. growth-oriented assets) e strumenti difensivi (c.d. conservative assets). I primi diversificano sul comparto azionario, per settori e aree geografiche, sulle materie prime, sia singole che su basket delle stesse, e su ETF obbligazionari corporate. Diversamente, gli strumenti difensivi includono ETF obbligazionari governativi, metalli preziosi, strumenti di mercato monetario e liquidità.

Storicamente, abbiamo anche osservato fasi di mercato in cui strumenti rischiosi (azioni) e strumenti difensivi (obbligazioni governative) si sono mossi in maniera fortemente correlata: per questo la definizione di due grandi famiglie di strumenti finanziari, rischiosi e difensivi, consente di avere sempre delle opzioni a seconda delle fasi di mercato, indipendentemente da singoli, magari temporanei, aumenti di correlazione tra singoli strumenti.

Al di là della retorica su quanto sia necessario avere la giusta mentalità per investire sui mercati finanziari, è indubbio che un certo grado di forza mentale sia necessario per vivere serenamente le diverse fasi sui mercati.

Lo studio e la ricerca sugli strumenti finanziari e sulle logiche operative di gestione del capitale sono la base imprescindibile da cui partire ma la disciplina è il terzo pilastro senza il quale nessun piano d’investimento può funzionare.

La disciplina è fondamentale non solo nelle fasi complesse di mercato ma anche in quelle molto costruttive. L’illusione del controllo o l’avidità possono spingerci a ridurre la diversificazione di portafoglio o, ad esempio, a saltare un ribilanciamento di portafoglio: “in fondo, questa posizione (titolo, ETF o qualsiasi altro strumento) sta andando così bene, perché devo vendere? Perché non investire ancora un po’?”

L’analisi quantitativa serve a rimuove larga parte della discrezionalità delle nostre scelte, ricordandoci l’importanza di un approccio strutturato alla gestione del capitale, ma solo l’esercizio della disciplina fa di noi degli investitori razionali e di successo.

DLD Capital mette a disposizione del cliente una vasta selezione di strumenti finanziari sulla base di logiche che ne valutino soprattutto l’opportunità in termini di costo, performance storica, volatilità e grado di correlazione con i mercati di riferimento: certamente consideriamo singoli titoli, azionari o obbligazionari, e fondi comuni d’investimento. Tuttavia, è indiscutibile che gli ETF negli anni siano diventati nel tempo uno strumento la cui flessibilità operativa è seconda solo a quella dei futures.

In aggiunta, gli ETF offrono un vantaggio notevole sul piano della diversificazione, in particolare con riferimento agli investimenti sul settore dei titoli a bassa capitalizzazione (small caps) e su quello dei titoli obbligazionari speculativi (high yield).

Sul primo fronte, i titoli a bassa capitalizzazione possono contenere un forte rischio specifico ed un errata valutazione del titolo sul piano fondamentale può portare perdite significative e difficilmente recuperabili. Lo stesso titoli inserito in un ETF avrebbe un impatto decisamente più limitato sul portafoglio. Sul secondo, il vantaggio dell’ETF è ancor più significativo: i titoli obbligazionari speculativi possono andare incontro a forti crisi sul piano della liquidità e a perdite di valore tra l’80% ed il 100%, nel caso di fallimento della società. Persino un evento estremo di questa dimensione diventa molto gestibile nel complesso di uno strumento altamente diversificato come un ETF.

Un portafoglio viene sempre costruito in funzione della propensione al rischio del singolo cliente, in linea con quanto previsto dalla normativa Mifid, che prevede una verifica di adeguatezze delle soluzioni d’investimento proposte. Il nostro modello di asset allocation è strutturato propriamente per poter riflettere in maniera più dinamica e granulare la propensione al rischio dell’investitore, in particolare mediante la quantificazione di parametri che possono essere definiti, ed eventualmente aggiornati, in relazione alla propensione al rischio del cliente.

La grande maggioranza dei modelli di robo-advisory sono strutturati nella forma di una replica di modelli di asset allocation statica, con operazioni di ribilanciamento delle posizioni che avvengono ad intervalli regolari, indipendentemente dalle fasi di mercato.

Al contrario il nostro modello di consulenza, in primis, è strutturato in modo da potere cogliere con maggior grado di dettaglio le necessità del cliente. Secondariamente, i nostri modelli prevedono l’adozione di specifiche modalità di intervento di mitigazione del rischio di portafoglio al mutare delle condizioni di mercato.

Nell’esempio sottostante si può osservare il confronto tra un portafoglio di ETF obbligazionari, costruito con una logica rotazionale che ottimizza i pesi dei singoli ETF in relazione alla volatilità degli ultimi tre mesi, ed il suo benchmark, un ETF obbligazionario governativo con duration compresa tra 15 e 30 anni. Su un orizzonte di circa 14 anni (2007 – 2021) possiamo osservare come portafoglio sovraperformi per un lungo periodo il benchmark ma, soprattutto, presenti una volatilità nettamente inferiore: nello specifico la deviazione standard del portafoglio sul periodo considerato è pari al 3.9% annuo, mentre quella del benchmark è pari al 9.8%. In termini di remunerazione del rischio, il portafoglio batte il benchmark sotto tutte le metriche di riferimento (maximum drawdown, Sharpe Ratio, deviazione standard e rapporto tra profitto e maximum drawdown).

Una miglior remunerazione del rischio assunto si traduce in due vantaggi immediati: in primis, in una minor oscillazione del portafoglio a parità di rendimento e, secondariamente, una limitazione del rischio di effettuare riscatti dalla posizione in momenti in cui la stessa è in forte sofferenza. In questo senso, il confronto grafico è molto chiaro.

*Scenario ipotetico a scopo illustrativo. Capitale iniziale: $1.000.000. Questo backtest non considera l’impatto dei costi di transazione. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.

Consulenza finanziaria integrata

Le Società di Consulenza Finanziaria, o SCF, sono società autorizzate a svolgere la consulenza in materia di investimenti senza detenere fondi o titoli, i quali restano nella esclusiva disponibilità dei clienti. Possono assumere la forma giuridica di società per azioni (S.p.A.) o di società a responsabilità limitata (S.r.l.).

Il presupposto della loro attività è la regolare iscrizione all’albo dell’Organismo di Vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari (OCF), in presenza di specifici requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e di precisi requisiti patrimoniali.

La società di consulenza finanziaria viene remunerata esclusivamente dai clienti per conto dei quali svolge la consulenza in oggetto e gli è espressamente preclusa qualsiasi forma di beneficio e/o onorario da un soggetto diverso dal cliente (c.d. modello a “parcella”)

In misura maggiore rispetto a quanto si osserva in altri paesi europei, gli investitori italiani sono penalizzati da un’industria del risparmio gestito ancora fortemente concentrata nell’offerta di prodotti c.d. a “gestione attiva”. Questi prodotti presentano un profilo di costi decisamente significativo, come evidenziato dal report della European Securities and Market Authority (ESMA) nel 2020: Performance and Costs of Retail Investment Products in the EU.

Il report evidenzia il maggior costo applicato sugli investitori al dettaglio rispetto a quelli istituzionali per i prodotti azionari ed obbligazionari:

Parimenti l’analisi evidenzia l’incapacità di questi prodotti di giustificare i costi con le performance generate:

Concentrandosi sulla distribuzione e la dispersione dei costi, indipendentemente dal tipo di gestione, questi non corrispondono a performance più elevate, ossia non si osserva alcuna correlazione tra costi del fondo e la sua performance. Per i fondi azionari attivi, i costi sono stati in media tra l’1% e il 3%, indipendentemente dalla performance annua lorda”.

Sul piano geografico, il report evidenzia inoltre come l’Italia sia uno dei paesi meno competitivi sul piano dei costi:

Indicativamente, tra le giurisdizioni sono osservabili differenze in termini di livelli di costo per lo stesso tipo di canale distributivo. Ad esempio, concentrandosi sui fondi azionari, i distributori bancari addebitano costi più elevati in Italia e Grecia, rispetto a Finlandia, Malta o Slovacchia…. In media in Italia i costi sembrano essere più alti nel confronto con gli altri dodici paesi per i quali sono disponibili i dati”.

Lo stessa ricerca evidenzia la costante crescita degli ETF, ossia di prodotti ad indicizzazione passiva, i cui costi si aggirano intorno allo 0.1% – 0.3% annuo.

Gli ETF sono strumenti che replicano passivamente l’andamento di uno strumento finanziario e, oltre a presentare un profilo di costi di circa l’80-90%% inferiore rispetto ai prodotti attivi, consentono una flessibilità operativa all’investitore impensabile con molti prodotti attivi.

In conclusione, al netto della parcella da riconoscere alla SCF, il ricorso ad una serie di prodotti più efficienti, che comprende ma non si limita agli ETF, consente al risparmiatore di conseguire da subito risparmi netti molto significativi in termini di costo di gestione del portafoglio.