Nell’ultimo commento, pubblicato il 6 Dicembre scorso, avevamo sottolineato il significativo rialzo osservato sul VIX negli ultimi giorni, da 15 a 30, e come tale variazione potesse essere ragionevolmente inserita nel quadro della c.d. volatilità “da rispettare” rispetto a quella “da ignorare”.
Le dinamiche di prezzo di queste ultime settimane confermano questo stato di cose, con una correzione sull’azionario che sta proseguendo, sia pure nel quadro di un movimento di consolidamento sotto i massimi di Novembre.
Per chi ha memoria dei movimenti più recenti sull’S&P500, quanto osserviamo ricorda vagamente l’ultimo trimestre del 2018, anno in cui gli indici americani andarono a formare nuovi massimi, salvo poi chiudere l’anno con un mese di Dicembre, storicamente positivo, che al contrario si è rivelato tra i peggiori di sempre.
S&P 500 Large Cap Index – (Ottobre 2018 – Dicembre 2018)
Parlando di massimi storici, certamente uno dei top dell’S&P500 più impressi nella memoria resta quello del 2007-2008, l’anno della più grande crisi finanziaria dal 1929.
S&P 500 Large Cap Index – (Ottobre 2006 – Febbraio 2009)
Osservando il movimento di prezzo dell’S&P500 in questi due periodi la caratteristica comune è una lunga fase di movimenti “laterali” dei prezzi che, senza particolare forza, oscillano tra aree di massimi e di minimi.
Certamente non possiamo affermare lo stesso per l’S&P500 che, alla chiusura di venerdì scorso, scambiava ancora sopra la media mobile a 50 giorni.
S&P 500 Large Cap Index – (2021)
In aggiunta, sul piano della forza relativa tra settori, continuiamo ad osservare una decisa sovraperformance del settore tecnologico (XKL) rispetto a quello Value (VTV) e all’S&P500 in generale (SPY).
L’inflazione resta uno dei temi più analizzati sui media e dagli analisti ma, se tale preoccupazione fosse condivisa da analisti e gestori, certamente sarebbe lecito attendersi una dinamica diversa e una pressione al rialzo molto più decisa per il Treasury USA a 10 anni.
CBOE 10 Year US Treasury Yield (Marzo 2020 – Dicembre 2021)
Alla luce di queste considerazioni, il movimento attuale appare finora come la conseguenza tecnica della formazione di nuovi massimi relativamente recenti. Tuttavia emergono, oltre alla volatilità, elementi di preoccupazione piu strutturali.
Se guardiamo ai c.d. “Internals” dei mercati, il numero di titoli che hanno registrato volumi in declino ha raggiunto recentemente nuovi massimi relativi, a conferma di alcune debolezze che minano la stabilità di questo uptrend.
NYSE Total Market Declines (1994 – 2021)
Nel grafico abbiamo identificato altre quattro circostanze negli ultimi 30 anni in cui il livello di Total Market Declines, ossia il numero di titoli quotati sull’NYSE che hanno registrato nuove flessioni dei prezzi nell’ultima settimana, ha registrato dei massimi significativi (1996, 2000, 2018 e 2019). La domanda che viene naturale è: come si è comportato l’S&P500 a seguito della formazione di questi massimi?
Fonte: DLD Capital SCF
Il dato descrive pienamente il quadro di incertezza che osserviamo sui mercati azionari: In due circostanze il rendimento a 1 e 2 anni è stato molto negativo (2000 e 2018), mentre nel 1996 e nel 2019 il rendimento dell’indice americano è stato nettamente positivo.
In conclusione, ad oggi siamo in un quadro di incertezza che non trova una risposta neanche nel ricorso allo studio di quanto verificatosi in circostanze simili in passato: succede spesso e, in ogni caso, dobbiamo essere consapevole che il passato ci fornisce sempre uno scenario probabilistico e mai una risposta assoluta circa quanto potrà accadere in futuro.
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Anatomia dell’S&P500
Nell’ultimo commento, pubblicato il 6 Dicembre scorso, avevamo sottolineato il significativo rialzo osservato sul VIX negli ultimi giorni, da 15 a 30, e come tale variazione potesse essere ragionevolmente inserita nel quadro della c.d. volatilità “da rispettare” rispetto a quella “da ignorare”.
Le dinamiche di prezzo di queste ultime settimane confermano questo stato di cose, con una correzione sull’azionario che sta proseguendo, sia pure nel quadro di un movimento di consolidamento sotto i massimi di Novembre.
Per chi ha memoria dei movimenti più recenti sull’S&P500, quanto osserviamo ricorda vagamente l’ultimo trimestre del 2018, anno in cui gli indici americani andarono a formare nuovi massimi, salvo poi chiudere l’anno con un mese di Dicembre, storicamente positivo, che al contrario si è rivelato tra i peggiori di sempre.
Parlando di massimi storici, certamente uno dei top dell’S&P500 più impressi nella memoria resta quello del 2007-2008, l’anno della più grande crisi finanziaria dal 1929.
Osservando il movimento di prezzo dell’S&P500 in questi due periodi la caratteristica comune è una lunga fase di movimenti “laterali” dei prezzi che, senza particolare forza, oscillano tra aree di massimi e di minimi.
Certamente non possiamo affermare lo stesso per l’S&P500 che, alla chiusura di venerdì scorso, scambiava ancora sopra la media mobile a 50 giorni.
In aggiunta, sul piano della forza relativa tra settori, continuiamo ad osservare una decisa sovraperformance del settore tecnologico (XKL) rispetto a quello Value (VTV) e all’S&P500 in generale (SPY).
L’inflazione resta uno dei temi più analizzati sui media e dagli analisti ma, se tale preoccupazione fosse condivisa da analisti e gestori, certamente sarebbe lecito attendersi una dinamica diversa e una pressione al rialzo molto più decisa per il Treasury USA a 10 anni.
Alla luce di queste considerazioni, il movimento attuale appare finora come la conseguenza tecnica della formazione di nuovi massimi relativamente recenti. Tuttavia emergono, oltre alla volatilità, elementi di preoccupazione piu strutturali.
Se guardiamo ai c.d. “Internals” dei mercati, il numero di titoli che hanno registrato volumi in declino ha raggiunto recentemente nuovi massimi relativi, a conferma di alcune debolezze che minano la stabilità di questo uptrend.
Nel grafico abbiamo identificato altre quattro circostanze negli ultimi 30 anni in cui il livello di Total Market Declines, ossia il numero di titoli quotati sull’NYSE che hanno registrato nuove flessioni dei prezzi nell’ultima settimana, ha registrato dei massimi significativi (1996, 2000, 2018 e 2019). La domanda che viene naturale è: come si è comportato l’S&P500 a seguito della formazione di questi massimi?
Il dato descrive pienamente il quadro di incertezza che osserviamo sui mercati azionari: In due circostanze il rendimento a 1 e 2 anni è stato molto negativo (2000 e 2018), mentre nel 1996 e nel 2019 il rendimento dell’indice americano è stato nettamente positivo.
In conclusione, ad oggi siamo in un quadro di incertezza che non trova una risposta neanche nel ricorso allo studio di quanto verificatosi in circostanze simili in passato: succede spesso e, in ogni caso, dobbiamo essere consapevole che il passato ci fornisce sempre uno scenario probabilistico e mai una risposta assoluta circa quanto potrà accadere in futuro.